Articolo tratto da: ICOO 2022
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Arcipelago Giappone – In un momento storico in cui la letteratura giapponese in traduzione sta sperimentando un ampliamento sbalorditivo quanto criticamente piatto, dove la profondità dei criteri selettivi appare sempre più sacrificata a vettori di mercato quali l’estensione, la notorietà e la rapidità della proposta, la collana Arcipelago Giappone, ideata su misura per Luni Editrice, si propone di rallentare questa frenesia offrendo al lettore una terza dimensione in cui ogni opera è la preziosa cristallizzazione di un’esperienza autoriale consacrata, da ponderare con piacere e calma all’interno di un arcipelago più vasto dove si è invitati a perdersi prima di approdare a un delicato sistema di rimandi interni che appagheranno comunque il naturale desiderio di scoperte sempre nuove.
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Questa prospettiva fa sì che ogni volume si presenti di volta in volta come il centro di un’ampia mappa ai cui margini rimangano tuttavia visibili i profili delle terre circostanti, naturali inviti a esplorare la collana.
Un accurato apparato di note e postfazioni orienta il lettore in questo lungo viaggio in cui ogni lettura aiuta a spazzare via la polverosa veduta da cartolina che molti progetti editoriali coltivano, non senza un certo grado di artificio, in una semplificazione del materiale letterario troppo spesso esotizzante per una letteratura molto più vicina di quanto si possa a volte credere.
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Ecco dunque che i criteri selettivi dei titoli seguono alcuni punti, i quali, collegati fra loro, consentono al lettore di tracciare una rotta, un’esperienza letteraria con un senso, in tutte le sue accezioni, orientata verso il Giappone moderno e contemporaneo nella sua complessità.
Ne risulta un ampio affresco di generi e concetti che sorprendono tanto per la loro originalità quanto per le profonde, imprevedibili analogie con correnti letterarie di respiro mondiale.
Non a caso la prima delle isole che esploriamo in questo vastissimo arcipelago è “Il libro dei morti” di Orikuchi Shinobu, un testo che tuttora pulsa e vive del magma ribollente da cui nacquero tutte le letterature. Romanzo modernista, impressionistico e inquietante, fu pubblicato per la prima volta nel 1939 e ampiamente riveduto negli anni successivi.
Il soggetto prende ispirazione dall’amore che Iside nutrì per il defunto Osiride nel mito tramandato da Plutarco, in cui si legge delle peregrinazioni della dea egizia alla ricerca del corpo dell’amato. Orikuchi rovesciò il paradigma affidando allo spirito di un principe giapponese ritornato in vita la ricerca di una donna, la bellissima figlia di un ministro d’epoca Nara (710-794). Questo primo volume è un testo senza genere in cui storia, poesia e folklore vibrano all’unisono di un ritmo primitivo e ipnotico. Il genio traboccante di Orikuchi vivificò con gravità sacrale un mondo in cui il mistero era ancora parte della vita, quando una nuvola del cielo poteva essere l’’ipostasi di un Buddha e il canto di un usignolo una preghiera accorata.
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L’autore, sparpagliando la storia in diverse trame e affidando la narrazione a più voci narranti, sembra invitarci a ricordare come ogni letteratura e, prima ancora, ogni esperienza umana, sia prima di tutto un denso enigma in continuo dialogo con la complessità del mondo. Estremizzando l’idea che ogni testo sia sempre preceduto da una moltitudine di fattori, la riscrittura è l’esempio più palese di come un’opera nasca sempre da un debito verso il passato. In tal senso si è scelto di approfondire quest’idea con altre due opere, “La maledizione di Oiwa” (già noto agli “addetti ai lavori” con il titolo originale “Yotsuya Kaidan”) di Tanaka Kōtarō e “Labirinto d’erba” di Izumi Kyōka.
””La maledizione di Oiwa” (1938), seconda uscita della collana, non è soltanto la riscrittura di un’opera celeberrima in Giappone, ma anche una felice trasposizione intersemeiotica che Tanaka Kōtarō sperimentò con successo riorganizzando le battute di un’opera del 1825 destinata al teatro kabuki di Tsuruya Nanboku IV in una prosa che, pur ricca di dialoghi, risultò svecchiata in modo da appagare il pubblico giapponese degli anni Trenta dopo un attento processo di manipolazione linguistica che Manzoni avrebbe definito «sciacquare i panni in Arno».
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Esplorando in maniera vivacemente icastica il tema della vendetta, la vicenda di “La maledizione di Oiwa” si è a lungo prestata a numerose riscritture teatrali, variabilmente fedeli allo spettacolo per kabuki di Tsuruya Nanboku IV, così come a rivisitazioni cinematografiche dal successo travolgente, la più celebre delle quali fu “Tōkaidō Yotsuya kaidan” di Nakagawa Nobuo (1959). Dopo la riscrittura di Tanaka, seguirono altre variazioni in prosa realizzate da autori particolarmente popolari negli anni Novanta, quali Kyōgoku Natsuhiko con il romanzo “Warau Niemon” (1997), e trasposizioni manga fra le quali si ricorda quella di Kamimura Kazuo. La raccolta qui proposta in traduzione comprende altri testi di Tanaka Kōtarō che testimoniano lo sviluppo del cosiddetto eroguro nansensu – il racconto nonsense a tinte fosche – esploso nel 1928 con “La belva nell’ombra” di Edogawa Ranpo e i racconti di Yumeno Kyūsaku, un genere che fonde elementi fantastici ad atmosfere e sviluppi narrativi prettamente horror senza per questo obliterare la lezione dei kaidan, i racconti spaventosi del Giappone antico.
Come ne “Il libro dei morti”, ritroviamo anche qui una pluralità d’ipotesti, tradizioni letterarie ed esperimenti linguistici che tuttora hanno molto da insegnare alla scrittura che non fa i conti con il passato.
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La terza isola di questo arcipelago letterario è “Labirinto d’erba” (1908) di Izumi Kyōka. Il giovane protagonista Hagoshi Akira, dopo anni di ricerca nelle varie provincie del Giappone, crede di aver trovato in una vecchia residenza presso un promontorio maledetto il luogo dove finalmente potrà trovare l’unica persona che ricordi la filastrocca cantatagli un tempo dalla madre morta. Quella che sembra solo una casa fatiscente si trasforma nel teatro di eventi inesplicabili e crudeli cui Akira resisterà come un novello Teseo proiettato in un labirinto mentale da cui, tuttavia, non vorrà fuggire.
In una vorticosa alternanza di voci e personaggi dominata dall’uniforme, implacabile mistero che aleggia su tutto e tutti, la narrazione di Kyōka ricorda al lettore un’opera di nō dove ogni gesto ha l’inequivocabile nitore di una stampa, mentre, incastonati come gemme, brillano per tutto il testo raffinati richiami alla letteratura giapponese antica e alle arti figurative in un tripudio visionario, dove l’elemento fantastico è talmente concreto nella sua meticolosa evocazione da suscitare inevitabilmente una sincera sospensione dell’incredulità.
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Durante la lettura ci si ritrova ancora una volta a fronteggiare temi ormai familiari: il debito verso tradizioni autoctone e mondiali, manipolazioni di vicende scritte le cui radici si perdono nell’oralità, la ricerca di soluzioni formali inaspettate e l’attenzione verso il mistero, forza prima da cui ogni letteratura inizia.
Ecco dunque che in “Arcipelago Giappone” il materiale letterario si sparpaglia in un sistema pellegrino dove ogni isola conserva tuttavia una memoria atavica di quando il mare non la separava dalle altre terre; e se è vero che l’infinitamente piccolo è specchio dell’immensità, ci auguriamo allora che le nostre traduzioni – godibili e filologicamente attente anche grazie a una lunga famigliarità del comitato di collana con i translation studies – possano suggerire ai nostri lettori una rotta da seguire in tutta la letteratura, non solo in quella giapponese, nella speranza che il viaggio possa durare quanto più possibile.
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Tanaka Kōtarō (Kōchi 1880-1941), figlio di mercanti, dopo un breve trascorso da giornalista, si trasferisce a Tōkyō dove studia sotto la guida di autori quali Ōmachi Keigetsu e Tayama Katai. Nel corso della sua vita compone numerosi kaidan, i racconti del terrore di fattura nipponica; l’opera che più lo rappresenta è la Raccolta di kaidan giapponesi (1934), una collezione di quasi duecento racconti tra cui spiccano La maledizione di Oiwa – Yotsuya kaidan e Sarayashiki – La storia di Okiku e dei nove piatti. Grazie all’opera Vere storie kaidan giapponesi (postumo, 1971), scritta negli ultimi anni di vita, si fa precursore del genere jitsuwa kaidan (it. Kaidan basati su storie vere) e in senso ampio fornisce un’importante testimonianza della tradizione narrativa popolare contemporanea. Tra le altre opere si ricordano anche Racconti di ombre nere (1921) e Racconti di pioggia nera (1923).
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Izumi Kyōka (Kanazawa, 1873 – Tōkyō, 1939) è stato uno dei maggiori esponenti letterari del Giappone fra il tardo periodo Meiji e gli anni immediatamente prima del secondo conflitto mondiale. La sua vasta produzione abbraccia romanzi, racconti brevi, componimenti poetici e opere del teatro kabuki. Apprezzato soprattutto per il suo contributo nell’ambito della letteratura fantastica, Kyōka perseguì con coerenza estrema un ideale letterario in perfetto equilibrio fra suggestioni provenienti dalla letteratura classica, rifiutate dalla maggior parte dei suoi contemporanei negli anni del dibattito naturalista, e tecniche narrative di respiro internazionale. Oltre a Labirinto d’erba (1908), fra le sue opere maggiori si ricordano Il racconto degli abissi del drago (1896), I commedianti girovaghi (1896), Il monaco del monte Kōya (1900), Un giorno di primavera (1906) e Canzone alla luce della lanterna (1910).
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Orikuchi Shinobu (Ōsaka, 1887 – Tōkyō, 1953) fu un etnologo, poeta e romanziere i cui interessi si concentrarono principalmente sulle origini più antiche del folklore nazionale. Non c’è dubbio che la sua attività di ricerca, culminata nei monumentali Studi sull’antichità (1929-1930), abbia profondamente plasmato la visione contemporanea del popolo giapponese sul proprio passato pre-moderno, influenzandone fortemente l’arte e la letteratura.
Tracce della sua ricerca si riscontrano in opere quali Il mare della fertilità di Mishima Yukio e 1Q84 di Murakami Haruki, dove la visione di un mondo permeabile a dinamiche invisibili contigue al quotidiano è forse il lascito più duraturo che Orikuchi ci ha lasciato.
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La casa editrice Luni nasce nel 1992 con lo scopo di diffondere le idee che animano la riflessione italiana rendendo disponibili e accessibili al pubblico italiano molti testi del mondo Orientale spesso introvabili.
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