Autointervista di Luca Clerici
Basta libri di cucina!
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-Ancora un ennesimo libro di cucina? Ammetto, sono un po’ prevenuto.
–Ma il mio non è un libro di cucina, è un libro sulla cucina!
-Come se ne mancassero…
-Ma questo è diverso da tutti gli altri.
-Perché?
–Anzitutto perché mette al centro gli scrittori e la letteratura.
-Bella novità: sul timballo del Gattopardo e sull’importanza del cibo nella narrativa di Gadda abbiamo già letto…
-Appunto. Io però non mi occupo della rappresentazione del cibo nelle opere letterarie, ma del rapporto fra gli scrittori e la civiltà della tavola, negli ultimi tre secoli.
-Non prima?
-No, prima è un’altra storia. Si parte dalla Rivoluzione francese, da quando cuochi di corte ormai disoccupati aprono caffè, trattorie e ristoranti creando nuovi spazi di socialità borghese. Scrittori e artisti di estrazione sociale e culturale diversa si danno appuntamento qui, dove nascono idee destinate a influenzare la produzione non solo letteraria.
-Ho dato un’occhiata all’indice dei nomi, e accanto a Casanova, Verga, Montale e altri big ci sono tantissimi personaggi sconosciuti.
-Certo: con il termine scrittori intendo “chi scrive”, e quindi non solo letterati ma anche giornalisti, professionisti che si occupano di cucina pubblicando ricettari e manuali, intellettuali di varia estrazione e – come diremmo oggi – opinionisti esperti del settore.
-Scrittori ma anche tante scrittrici: lo ammetto, una bella sorpresa!
–Onore al merito: all’inizio del Novecento la pubblicistica enogastronomica passa di mano, e agli autori maschi che pubblicano per cuochi di mestiere si alternano scrittrici rivolte a un pubblico femminile di massaie, da Petronilla ad Ada Boni fino ad Antonella Clerici – anticipo la domanda, no, non siamo parenti.
-Vanno bene le quote rosa, ma Artusi è sempre Artusi!
-Certo, e infatti a partire dall’edizione Einaudi della Scienza in cucina il suo ruolo è stato ampiamente rivalutato da parte degli studiosi, ma la mia lettura va oltre perché cerca di spiegarne lo straordinario successo collocando autore e opera nel contesto della cultura del positivismo democratico e della divulgazione (il suo è un Manuale e il titolo si apre con una parola a quel tempo magica: Scienza). Una cultura scientifica che ha al centro una nuova disciplina popolarissima, l’igiene, di cui Artusi è sostenitore, insieme a intellettuali del calibro di Cesare Lombroso e Jacopo Moleschott.
-Ma allora il tuo sguardo va oltre all’analisi critica delle singole opere.
-In effetti la mia è una prospettiva larga e interdisciplinare, perché racconto sì autori e opere in relazione sia alla letteratura che conta sia a quella popolare, ma pure generi letterari e giornalistici, testate, collane e marchi editoriali, iniziative enogastronomiche culturalmente significative in rapporto alla storia del costume, della mentalità e dell’immaginario collettivo. Senza però dimenticare mai le condizioni alimentari del paese reale, fotografate in tante inchieste giornalistiche e istituzionali.
-Hai detto racconto… Pensavo a un libro di studio abbastanza noioso, non certo avvincente.
–Al contrario. Guadagnarsi il pane parla di sorprendenti personaggi dimenticati, a partire da donne straordinarie come la fondatrice nel 1929 della “Cucina Italiana” Delia Pavoni, stimatissima imprenditrice, e Mascotte (la fascista della prima ora Fanny Dini?) che le succede alla direzione della rivista, ragazza a dir poco controcorrente ed emancipata.
E poi ecco vicende incredibili (Paolo Mantegazza inventore della Coca Cola nell’Ottocento) e avventure industriali come quelle dell’olio Dante dei fratelli Costa esportato in America (i concorrenti spagnoli replicano con l’olio “Beatrice”, ma perdono la causa) e del formaggio del Bel Paese, che prende il nome dal best-seller di Antonio Stoppani, ritratto sull’etichetta. Il libro più letto dagli italiani a inizio Novecento dopo I promessi sposi e Cuore, ma prima di Pinocchio…
Ciliegina sulla torta, la sorpresa di tante scoperte bibliografiche, testi curiosi e persino osé: la cucina afrodisiaca ha lo spazio che merita.
-Ti concentri su figure dimenticate perché dei grandi si sa già tutto?
-Non direi: se l’attività da pubblicitario di D’Annunzio continua a stupire per spregiudicatezza e modernità, nella polemica pro o contro la pastasciutta che vede l’un contro l’altro armati Bontempelli (pro spaghetti) e Marinetti (che autarchicamente tiene per il risotto) il Duce appoggia i futuristi in pubblico, salvo poi mangiarsi i maccheroni a casa sua.
-Comincia a girarmi un po’ la testa: un’infinità di scrittori di cucina che non sono solo letterati, celebri e sconosciuti, di ieri e di oggi, in rapporto con l’industria enogastronomica e con il mondo di chi i libri di cucina li pubblica, insieme alle riviste di settore… Mi sto perdendo.
-Difficile perdersi con in mano un atlante! Perché Guadagnarsi il pane non è solo una mappa dei molteplici rapporti fra scrittori italiani e civiltà della tavola, ma propone anche una serie di itinerari. E’ una guida ai locali storici, dal Caffè Tommaseo di Trieste alla Pasticceria Savia di Catania, passando per il Florian a Venezia, che può essere considerato il primo caffè letterario italiano. Locali che hanno ospitato non solo scrittori ma anche sodalizi, come lo “Sbafing Club” della gastronomia ambrosiana Peck negli anni Trenta, oggi sconosciuto. E poi ci sono i tour per ristoranti, a partire dal Bagutta di Milano dove nel 1926 “tra bicchieri pieni, mezzi vuoti, su un pezzo di carta da droghiere, fu scritto il regolamento del primo premio letterario d’Italia. Dei giudici, solo uno era astemio”, parola di Paolo Monelli, gran giornalista. Passando per la trattoria Sabatini di Firenze, che pubblica per i propri clienti una collana a tema gastronomico diretta da Marino Parenti.
-Storia e geografia, mi verrebbe da dire…
-Certo – e qui siamo finalmente d’accordo – ma geografia anche nel senso di odeporica (ops! lapsus dello studioso…), cioè di letteratura di viaggio. Un capitolo è infatti dedicato alla rappresentazione del mangiare e del bere nei resoconti dei viaggiatori nostrani dal Settecento a oggi – e le sorprese non mancano, fra descrizioni oggettive di diete locali e resoconti di estrose mangiate umoristiche –, un altro capitolo al capolavoro dimenticato che nel 1935 inaugura il genere del reportage enogastronomico, il godibilissimo Ghiottone errante di Monelli. Il quale travestito da narratore “bulimico” è accompagnato lungo lo Stivale dall’inappetente compagno di ventura Giuseppe Novello, illustratore del tour che nel libro si disegna mingherlino dal profilo appuntito, perso in enormi cantine, lillipuziano sovrastato da botti gigantesche, figurina rapita dal sogno impossibile “del mangiar leggerino”, giusta la didascalia di una delle sue tavole.
-Ma a questo punto, perché Guadagnarsi il pane?
–Perché come per Monelli e Novello, per chi scrive il rapporto con il mangiare e il bere è anche una faccenda economica: se alla “Riviera Ligure” Pascoli chiede “l’elemosina”, Francesco Pastonchi non tergiversa: “l’oro io voglio strappare con l’alloro”. E Ungaretti le ricette sulla “Cucina Italiana” le pubblica per arrotondare. Il punto è che questo rapporto professionale fra gli scrittori e il mondo dell’alimentazione si rivela un aspetto decisivo per leggere le dinamiche di sviluppo dell’attività letteraria nella modernità urbano-borghese, e quindi il progressivo moltiplicarsi dei generi non canonici, praticati anche per ragioni “alimentari”.
-Mi hai convinto. Vorrei però chiudere parlando finalmente di bere e mangiare per davvero.
–Volentieri! Leggendo il libro ce n’è d’avanzo. E’ per esempio istruttivo ragionare circa il riflesso della loro dieta sullo stile di alcuni scrittori, dal Gadda bulimico autore espressionista al Ceronetti anoressico scrittore apodittico. Come dimenticare i maestosi piccioni farciti del Gran Lombardo? Farciti: “secondo una ricetta andalusa, con l’origano, la salvia, il basilico, il timo, il rosmarino, il mentastro, e pimiento, zibibbo, lardo di scrofa, cervello di pollo, zenzero, pepe rosso, chiodi di garofano ed altre patate ancora di dentro, cioè quasi diventate una seconda polpa anche loro, tanto vi si erano incorporate nel deretano”. Un’opulenza che avrebbe fatto inorridire Guido Ceronetti, ascetico pellegrino animato da un radicale pessimismo apocalittico che in Un viaggio in Italia registra implacabile i suoi frugali pasti a base di olive, olio crudo e verdure.
Ma immagino che la domanda sia più personale, e allora eccoti una delle tante “ricette laureate” che trovi nel libro – a dimostrare come in mano agli scrittori questa formula standardizzata dimostri un’insospettabile versatilità. Sono belle da leggere, anche se non tutte (mi raccomando!) consigliabili da cucinare. A dettare il piatto veloce che ti propongo non è però uno scrittore ma un artista, perché in Guadagnarsi il pane ce ne sono molti, proficuamente seduti alla stessa tavola dei letterati.
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– Pronto? Pronto? Pr…
– Sì, prontissimo, Mario Sironi
– Io… sa la ricetta occorrerebbe subito, “La Cucina Italiana” è già nei fornelli delle officine
– Ma eccola, a vista!
– Detti pure
– Una tazza di latte… Non pastorizzato
– Continui
– Ho finito…
– È tutto?
– Le pare poco? Arrivederci!
Luca Clerici
Il libro → Guadagnarsi il pane. Scrittori italiani e civiltà della tavola
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