Così il D’Annunzio che occupò Fiume venne arruolato da Proust nella «Recherche»

D'Annunzio e Proust

 

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In un passo destinato ad «Albertine scomparsa» (ma poi espunto) si parla della presa della città capeggiata dal Vate

 

Ecco, per gentile concessione dell’ editore Luni, un brano dell’articolo di Proust che uscì su Le Matin l’11 dicembre 1919 e che era stato pensato per includerlo nella Recherche. Nel colloquio con madame de Villeparisis, marchese di Norpois parla di Gabriele d`Annunzio e della occupazione di Fiume, che era iniziata tre mesi prima.

 

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Articolo tratto da: Il Giornale agosto 2022  (qui il link)

 

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IL BRANO INEDITO

 

“Ecco, vi ho portato il Corriere della Sera ed Il Giornale d’Italia. Ho anche il Temps. Voglio guardare le notizie di borsa, aggiunse con lo stesso interesse che se si fosse trattato delle notizie di una persona malata. E, infatti, aggiunse subito: 

 – Le nostre rendite sono meglio distribuite, ma le miniere restano deboli. La De Beerse rialza rapidamente, forse troppo rapidamente. Bisognerebbe che poi non ribassassero! Le Petrolifere ricominciano a mostrare dell’attività. Ma, leggete dunque Il Giornale d`Italia; è il giornale di Sonino. Dopo un lungo silenzio, Mm. Di Villeparisis domandò: – Sonnino, non è forse parente di M. di Venosa? 

 – Ma no, rispose M. di Norpois con tono sdegnoso, è un giudeo inglese che si chiama Sidney (ma che non ha niente a che vedere col delizioso Sidney Schiff). Sembra che sia una rara competenza ma ha un carattere detestabile. M. di Norpois continuò a leggere il giornale. 

 – Avete pensato a far visita al ministro, gli domandò Mm. Di Villeparisis con la severità dell`amore temperato dalla dolcezza degli anni. 

 – Sì, son passato da lui, prima di andare da Salviati.”  Mi ha raccontato delle cose molto curiose. Ignoravo, difatti, che quando Briand era al potere aveva spedito a Palazzo Famese un telegramma in cui diceva che «se il governo italiano avesse domandato l`espulsione di Caillaux non bisognava opporsi». Ciò era malizioso e prova un’abilità diplomatica nella quale purtroppo gli italiani son diventati maestri di maniera che essi si guardarono bene dal domandar niente. Egli ha messo in relazione due telegrammi di Ribot a Jonnart che ignoravo egualmente. Nel primo, Ribot preoccupato dell`azione violenta di Jonnart che teneva un atteggiamento risoluto verso il re Costantino, gli consiglia moderazione e l`avverte che egli agisce sotto la propria responsabilità. Poi, dato che Jonnartriusci, Ribot, che non c’entra- va affatto, gli spedisce un tele- gramma dei più calorosi, lo felicita di tutto cuore e aggiunge:

«Voi sapete d’altra parte che se aveste incontrato il menomo ostacolo sarei stato pronto ad aiutarvi con tutte le mie forze per superarlo». 

Questo modo sbrigativo di trarsi d`impiccio non toglie niente alla simpatia che io

ho per Ribot. Piaccia a Dio che ci faccia avere sempre degli uomini come lui e come Briand!

 – E questa famosa Fiume? – domandò di lì a un momento la de Villeparisis. 

 – Ma, diversamente da quel che io pensavo Nitti, del quale credevo che d`Annunzio fosse un vero e proprio ad latus, non è fiumano. C’era dal ministro uno scrittore francese perfettamente ignoto, certo Marcel, di cui non ricordo il cognome, che, egli sì è pieno di calore per D`Annunzio; egli paragona l’esilio volontario che quegli ha passato in Francia a quello di Dante; e ha ricomposto nuovamente o meglio retrospettivamente, tre versi di Virgilio nei quali Enea, passando dinanzi a Fiume evoca D`Annunzio; ha citato un verso di Hugo, può darsi del Piccolo re di Galizia, nel quale la maniera di prendere le città rassomiglia molto a quella di D`Annunzio e sembra che anche nei drammi di D`Annunzio vi sia indicato quel luogo con una funzione storica. Ma il governo italianoprende le cose più al serio se non al tragico.

Egli vuole naturalmente salvare le apparenze ma non si tratta più di elevare D`Annunzio al trono né di accordargli un appannaggio. Si vuole piuttosto in un modo o in un altro, ridurlo all’impotenza, e poiché mi è stato chiesto il mio parere, ho suggerito, esponendo naturalmente tutte le mie riserve sulla politica del Risorgimento, che sarebbe pericolo prolungare le conversazioni poiché tutto ciò potrebbe degenerare in una specie di guerra di fazioni, che rischierebbe di mettere fuoco alle polveri e di far perdere all’Italia il suo posto intorno al tappeto verde.

 

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LA VICENDA EDITORIALE:  Marcel in bilico fra ammirazione e pentimento 

di Daniele Abbiati

 

 

 

Proust e D`Annunzio, ovvero incontrarsi (forse) e dirsi addio. Se davvero i due scrittori ebbero un vis-à-vis, questo avvenne il 21 maggio 1911, a Parigi, al teatro dello Chatelet, per le prove generali di Le martyre de Saint Sébastien, musicato da Debussy. Quel che è certo è che Marcel si annoiò: scrivendo a Reynaldo Hahn due giorni dopo, parla di «orchestra immensa per questi pochi peti». Tuttavia, trovò perfetto il francese del Vate, il quale in Francia stava vivendo un “esilio” che si protrarrà fino al `15.

Nell`opera di Proust, il nome di D`Annunzio compare soltanto tre volte, e di sfuggita, in Sodoma e Gomorra. Perché la quarta volta, quella più sostanziosa e interessante, è stata stralciata. Per pure ragioni narratologiche? Anche qui, dobbiamo accontentarci di un «forse»… 

La vicenda del D`Annunzio disparue proprio come Albertine, e curiosamente proprio in Albertine disparue (o La fuggitiva) era collocato il cameo in questione – è singolare. L`11 dicembre 1919, il giorno dopo aver ottenuto il premio Goncourt, Proust pubblica sul Matin un`anticipazione del seguito del suo romanzo in cui compare, destinato al capitolo terzo, Séjour à Venise, un episodio in cui si parla dell`impresa di Fiume, iniziata tre mesi prima. Il 2 settembre 1924, sul Mondo viene pubblicata la traduzione italiana di quel brano, firmata G.S., cioè Giuseppe Sprovieri. Ma Albertine disparue è ancora inedito, poiché uscirà il 30 dicembre del `25 sulla Nouvelle Revue Francaise. In un articolo datato 4 luglio 1963, sarà Giovanni Comisso, il quale aveva partecipato all`avventura fiumana, a rispolverare il “caso”, offrendo a un antico sodale in quel di Fiume, il belga Léon Kochnitzky, l`occasione per precisare che lo scrittore «Marcel», definito dal marchese di Norpois nel brano poi eliminato «pieno di calore per D`Annunzio» fino al punto da paragonare l`esilio del Vate in Francia a quello di Dante, non è da ritenersi Proust, bensì Boulenger. Cioè «l`amico più fedele e devoto che D`Annunzio abbia avuto tra i letterati francesi di grido», dice Kochnitzky.

 

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E aggiunge che nella Recherche a quel marchese vengono per solito attribuite parole che esprimono posizioni opposte a quelle del Narratore. Insomma, riportando i sentimenti di devozione di «Marcel» nei confronti di Gabriele d`Annunzio, Norpois sarebbe stato “usato” da Proust proprio per… smentirli, se non per metterli alla berlina. «A tutta prima – chiosa Giovanni Balducci nell`introduzione al Soggiorno a Venezia di Proust ora proposto da Luni editrice per la prima volta in volume -, sembrerebbe in effetti di trovarci innanzi ad un escamotage posto in essere dallo scrittore francese al fine di schermare il suo trasporto verso D`Annunzio e, del resto, la successiva purga nell`edizione definitiva può dare adito a congetture circa il ripensamento di un ammiratore per il suo eroe». Dunque, anche su Proust l`impresa di Fiume e chi ne fu a capo esercitarono un certo fascino, anche se non dal punto di vista estetico, conoscendo i suoi gusti. Ma non fino al punto da accoglierli come ospiti di riguardo nella sua principesca dimora dei ricordi.

 

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I NUOVI STUDI:  L’eco dell’Impresa risuonò forte in tutto il mondo 

di Alessandro Gnocchi

 

 

Il fascino esercitato dall’Impresa di Fiume (12 settembre 1919 – 27 dicembre 1920) si capisce rovesciando la prospettiva.

La missione immaginata dal Vate (e realizzata con l`impegno fondamentale di Guido Keller) subisce uno slittamento rivoluzionario. Colpa o merito, dipende dai punti di vista, dell’indecisione del governo italiano presieduto da Francesco Nitti. La gioventù uscita dalla Prima guerra mondiale desidera una rinascita dell’Italia, non accetta di tornare alla vita da civile agli ordini della vecchia classe dirigente. Ecco il rovesciamento di cui si diceva: presto, per i legionari, non si tratta più di annettere Fiume all’Italia, sottraendola al controllo jugoslavo quasi certo in futuro, ma di annettere l`Italia a Fiume. La città contesa si pone al centro di una Lega dei popoli oppressi, che va dall`Irlanda all`Egitto. Non pochi militanti sognano un patto, transitorio o stabile, con la Russia bolscevica in funzione anti-borghese. All’Ufficio relazioni con l`estero, che è il cuore della propaganda del Vate, lavorano un belga, Leone Kochnitzky, e un americano, Henry Furst. L`Impresa ha una eco notevole all`estero, ed è questo, il peso dell`Impresa nella stampa internazionale, uno dei temi più importanti degli studi fiumani ancora da compiere. Questo fatto chiarisce l`interesse, non solo letterario, suscitato dal brano di Proust pubblicato in queste pagine. A Fiume si celebra una rivoluzione non solo politica. Si sperimentano nuovi modi di stare assieme, le droghe, il sesso libero, il nudismo, le dottrine orientali, la centralità dell`arte in ogni aspetto della vita.

 

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Gabriele d`Annunzio promulga la Carta del Carnaro, una costituzione avanzata, destinata, non bisogna mai dimenticarlo, a una città-stato. Fin qui la realtà. Ora sogniamo per un attimo. D`Annunzio vorrebbe federare l`Italia dividendola in cantoni sul modello della Svizzera. Il Vate è consapevole che ogni regione dello Stivale conserva la memoria della propria secolare autonomia. Come fare, in pratica? I legionari potrebbero attraversare l`Adriatico, con la complicità della marina italiana, e sbarcare nei pressi di Ancona. Poi si dovrebbero formare due colonne di legionari. Alla prima sarebbe affidata la marcia su Roma. Alla seconda toccherebbe invece occupare il centro economico per eccellenza, Milano. La scommessa è non incontrare resistenza o quasi. La speranza è che le due colonne, lungo il percorso, si rimpolpino di volontari. Il Re? Sarà costretto a consegnare il potere a Gabriele d`Annunzio, facendo buon viso a cattivo gioco. Ucronia pura e semplice? Fino a un certo punto. Infatti il piano esiste, fu scritto da Guido Keller. Il vulcanico aviatore aveva anche contribuito a cercare i fondi e a coinvolgere la Marina nella cospirazione, a suo dire con successo. Non se ne fece nulla. Il Vate aveva paura di ritrovarsi senza soldi e senza rifornimenti prima di raggiungere Milano. Quando abbandonò Fiume, sconfitto dall`esercito italiano, chiese ai legionari di non mischiarsi alle scaramucce di fascisti e comunisti. Evidentemente si illudeva di avere ancora qualche carta da giocare e si considerava alternativo sia ai rossi sia ai neri. Mussolini fu più scaltro. Il capo del fascismo capiva la politica meglio di Gabriele d`Annunzio, che fu un idealista, a modo suo.

 

 

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Soggiorno-a-Venezia-D’Annunzio-nella-Recherche-un-inedito-Marcel-Proust_1

Il libro: Soggiorno a Venezia. D’Annunzio nella Recherche: un inedito

 

 

 


 

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