RIVISTE IN ANASTATICA
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Armando Torno
Articolo tratto da: Il Sole 24Ore: Religioni e società
31-5-2015: (qui il Pdf)
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T radizione è vocabolo non di moda. Si consiglia di maneggiarlo con cura in politica o economia.
È bene non pronunciarlo alla presenza di persone che si esprimono a colpi di anglismi (anche se non sempre li azzeccano). Si consiglia di non utilizzarlo in concorsi o prove d’esame; soprattutto si eviti in colloqui di lavoro, a meno che non si aspiri a dirigere un’agenzia di pompe funebri.
Eppure, nonostante i tempi grami e la sua inattualità, la tradizione ha conservato peso specifico.
La storiografia ne ha sempre bisogno, giacché essa testa comunque una fonte; la filosofia, quando cerca di analizzare dei miti, non riesce a nasconderla e vale sempre l’osservazione che Aristotele scrisse nel XII libro della Metafisica, laddove ricorda che delle cose più antiche «è stata tramandata una tradizione» non ignorabile.
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Nelle religioni – come insegna l’ebraismo – ha mantenuto un ruolo essenziale, a dispetto dei suoi nemici. Per limitarci all’ambito cristiano la tradizione è fondamentale non soltanto nel mondo cattolico, in cui rappresenta la normativa per l’intelligenza della Scrittura. (Concilio Tridentino, sessione IV; Concilio Vaticano II, Dei verbum, 2), ma ha guadagnato consensi anche tra i protestanti con Karl Barth, uno dei teologi evangelici più profondi, il quale riscoprì la non totale identità di rivelazione e Scrittura che il primo protestantesimo aveva fatto sua contro il papato.
C’è poi una tradizione che riguarda riti e agiografie, interpretazioni e modi di vita, cultura e altro: nasce a volte da caratteri religiosi e si riversa nella realtà. Intenti a “fare le riforme” di ogni cosa, non riusciamo a comprendere la sua portata; tuttavia ogni tanto un’occasione mostra cosa essa celi.
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Elémire Zolla nel saggio Che Cos’è la tradizione la definì «radice di quasi ogni atto umano».
Già, occasione, radice, altro. In questi giorni la casa editrice Luni di Milano ha riproposto in 12 volumi «tutto Il pubblicato, della Rivista di Studi Tradizionali», nata a Torino nel 1961 e uscita ininterrottamente, in 97 fascicoli, sino al 2003: sono circa 7mila pagine.
→ La Rivista di Studi Tradizionali
In essa furono accolti saggi e testi per approfondire il patrimonio simbolico, rituale e metodologico delle tradizioni occidentali e orientali; si ospitarono traduzioni da lingue moderne e antiche, numerose dal sanscrito e dall’arabo, comunque dl scritti che per la prima volta videro la luce In italiano.
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Non era un bollettino accademico, genere in cui si pubblica per propiziarsi favori nei concorsi, ma un periodico dove si ossequiava solo la tradizione ricorrendo a scritti di René Guénon o Ananda Kentish Coomaraswamy, si parlava di Templari, di infallibilità o delle «Lingue sacre», di Upanishad o della traduzione de La Nicchio delle Luci del mistico arabo Mujyddin Ibn’ Arabi (del quale il 23 e 24 maggio si è tenuto il 32° Symposium della società che reca II suo nome al St Anne’s College di Oxford).
Non è facile oggi valutare una segnalazione approfondita delle opere di Mircea Eliade o la traduzione dal sanscrito de La lampada della conoscenza non duale di Shri Karapàtra Svàmi, impresa realizzata in 8 fascicoli della rivista; né è fatto comune leggere recensioni attente a lingua e prospettive di una nuova versione della Bhagavadgita o a Il Roseto (“Golestan”) del mistico persiano Sa’di, punta di diamante dell’Islam classico.(tra l’altro ha brani delle sue poesie sull’edificio dell’Onu a NewYork).
Il libro: → Bhagavadgita
La «Rivista di Studi Tradizionali» fece un lavoro immenso in un Paese sordo e disattento come l’Italia in anni in cui la religione, il simbolismo e – per fare un esempio taoista Libro del maestro trascendente di Lie -Tse erano visti come anticaglie. Sono i giorni in cui Alberto Moravia riteneva indispensabili per la conoscenza dell’uomo marxismo e psicoanalisi, o nel quali il Libretto di Mao si credeva riassumesse la cultura cinese.
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La «Rivista di Studi Tradizionali» nella sua versione classica rappresentò un’apertura di orizzonti che si comprende solo oggi (dal dicembre 2012, continua, semestrale, con il medesimo titolo e con l’aggiunta «Nosce te ipsum»; è uscito il numero 102).
Dove si sarebbe trovato altrimenti l’ampio saggio, apparso sul fascicolo dell’ottobre-dicembre 1965, di René Guénon La teoria indù dei cinque elementi?
Mentre le librerie erano affollate di romanzi realisti e di saggi impegnati, queste pagine inattuali si ponevano questioni sul sacro e sui mistici. Per comprendere cosa stava accadendo all’uomo.
Armando Torno
La casa editrice Luni nasce nel 1992 con lo scopo di diffondere le idee che animano la riflessione italiana rendendo disponibili e accessibili al pubblico italiano molti testi del mondo Orientale spesso introvabili.
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