di Giorgio Arduini
*
R iuscire a illustrare gli yakuza eiga (lett. “film di yakuza”) o ninkyō eiga (lett. “film di ‘cavalleria’”) in 10 opere sarebbe un’impresa di arte della sintesi perché, pur essendo un genere molto settoriale, è stato prolifico – nel periodo di maggiore popolarità riuscivano a girare un lungometraggio in una settimana – e grandi registi si sono succeduti dietro la macchina da presa.
*
E questo senza prendere in considerazione i film-maker che si sono avvicinati all’argomento trasferendolo in altri contesti. All’ampiezza del tema si aggiunge, per il pubblico italiano, la difficoltà di poter accedere alla visione di queste opere, soprattutto se datate, per la scarsa disponibilità sul mercato nazionale.
Questo ‘decalogo’ sarà, quindi, da intendere più come un sentiero di indizi per stimolare la curiosità anziché un percorso, a prescindere dalla logica sottesa allo svolgersi dell’elenco. Ma cominciamo dall’inizio…
*
– Zatōichi
Una pellicola della serie cinematografica di Zatōichi, il massaggiatore cieco che cela una seconda vita da bakuto (i giocatori d’azzardo, uno dei due gruppi criminali cui si ascrive la paternità della yakuza), impersonato dall’attore Katsu Shintarō e girati principalmente tra il 1962 e il 1973 (25 film su 26 per l’esattezza, tra questi e il 26° recitò in una serie televisiva di 100 episodi sempre brandendo la katana di Zatōichi); solo vedendo uno di questi film si possono cogliere gli ammiccamenti dello Zatōichi di Kitano Takeshi.
L’eroico personaggio, letale spadaccino a dispetto dell’assenza di vista, è indebitato con i jidai geki, gli acrobatici film di cappa e spada giapponesi. Per inciso, non a caso la pronuncia del termine “jidai” ricorda quella di “jedi” in inglese (!).
– Otoko wa tsurai yo
Una pellicola della serie cinematografica Otoko wa tsurai yo (lett. “È duro [doloroso] essere un uomo!”) dedicata al personaggio di Torasan, un moderno tekiya (i venditori ambulanti, ritenuti la seconda componente della yakuza ‘tradizionale’), generoso e romantico; le storie narrate sono velate dalla malinconia per il mondo del passato, quello di Zatōichi per intenderci, forse aspro, ma ritenuto più sincero.
La favorevole accoglienza da parte del pubblico è testimoniata dai 48 film prodotti in 26 anni e tutti, compreso il serial televisivo che li anticipò, con l’attore Atsumi Kiyoshi nei panni del protagonista.
– Hibotan bakuto
Una pellicola della serie di Hibotan bakuto (lett. “La giocatrice [d’azzardo dalla] peonia scarlatta”) in riferimento al tatuaggio che le ornava la spalla destra dell’eroina interpretata da Fuji Junko.
Figura di fantasia – le donne non hanno un ruolo ufficiale negli organigrammi delle bande, sebbene ritengo abbiano una funzione significativa nella gestione delle ‘famiglie’ – che merita menzione per il carisma infuso dall’attrice nel personaggio, caratteristica che ritroviamo, virata in negativo, nella Ishii Ōren di Kill Bill.
– Takakura Ken – in – Abashiri Bangaichi
Una pellicola con l’attore Takakura Ken, ripetutamente nei panni dello yakuza stoico e pronto a immolarsi per una giusta causa. Fu al fianco di Fuji Junko nel primo Hibotan Bakuto, conobbe il più famoso degli storici boss del passato – Taoka Kazuo della Yamaguchigumi – e lo interpretò in una pellicola nel 1973
ma soprattutto fu protagonista delle 18 puntate della serie cinematografica Abashiri Bangaichi (lett. “Abashiri senza indirizzo”, una prigione sperduta nel gelido Hokkaidō) dal 1965 al 1972. Molto amato dal pubblico giapponese, non ha solo interpretato delinquenti ed è riuscito a conquistare Hollywood.
– Jingi naki tatakai
Jingi naki tatakai (lett. “Battaglie senza codice d’onore”) di Fukasaku Kinji, regista di numerosi yakuza eiga, perché tratto da una storia vera e rappresentativo di una visione meno romantica del crimine organizzato giapponese nonché per l’interprete principale, Sugawara Bunta, che conobbe e studiò il comportamento di veri yakuza infondendo cinismo e violenza nelle sue interpretazioni.
– Minbō no onna
Minbō no onna (lett. “La donna contro il racket dell’estorsione”) di Itami Jūzō. La protagonista è un’avvocatessa che fornisce – con estremo successo – aiuto alle aziende taglieggiate dalla yakuza; il ridicolo nel quale getta i criminali nel film costò un’aggressione e uno sfregio al regista da parte di una banda ritenutasi offesa.
– Yakuza
Yakuza (“The Yakuza”) del 1974 diretto da Sydney Pollack e interpretato da Robert Mitchum e Takakura Ken, a mio parere ancora oggi il miglior yakuza eiga tratteggiato da una mano occidentale. Soprattutto fu scritto, tra gli altri sceneggiatori, da Paul Schrader che nello stesso anno compilò un approfondito articolo su questo genere di film giapponesi nel quale ne analizzava temi ed elementi narrativi ricorrenti.
– La trilogia Outrage
La trilogia Outrage di Kitano Takeshi per le complesse trame di alleanze e tradimenti non distanti dai reali tortuosi rapporti diplomatici delle bande giapponesi.
– Young Yakuza
Young Yakuza del 2007 di Jean-Pierre Limosin perché è un documentario girato all’interno di una vera kumi (lett. “gruppo”) – con qualche limite imposto dal boss alle riprese – che segue le fasi di reclutamento di un giovane nei suoi ranghi.
– Graveyard of Honor
Graveyard of Honor (“La tomba dell’onore”) del 1975 perché diretto da Fukasaku Kinji (del quale ha prodotto un remake nel 2002 Miike Takashi – altro regista che ha ritratto la yakuza sotto luci inconsuete), tratto dai racconti di un ex yakuza votatosi alla scrittura e un altro ex yakuza – protagonista di un caso sensazionale – compare tra gli attori. Serve altro per un cortocircuito tra finzione e realtà?
FUORI CONCORSO:
– La via del grembiule – Lo yakuza casalingo
La versione anime del manga La via del grembiule – Lo yakuza casalingo, una serie d’animazione che, in vena ilare, suggerisce un’interpretazione del comportamento yakuza come inestricabilmente connesso a un modo di pensare e di interpretare la realtà, non solo dettato dalla brama di denaro.
– Perché non citare un film recente come: The Outsider (Gaijin – 2018) con Jared Leto?
Lasciando da parte le accuse di whitewashing (più voci sottolineano che un attore nippo-americano avrebbe ricoperto la parte con maggiore coerenza o, almeno, avrebbe parlato giapponese facilitando l’interazione del personaggio con il contesto) e concentrandosi sugli aspetti inerenti la yakuza, si assiste all’ascesa del protagonista (un disertore americano) nei ranghi di una banda del porto di Ōsaka a metà degli anni ’50 attraverso rituali e scontri che costellano l’esistenza di un malavitoso giapponese.
Premesso che la storia è parto di fantasia (non si ha notizia di alcun occidentale accettato come membro a pieno titolo di una kumi – sebbene qualcuno abbia avuto rapporti molto stretti) nonostante si colga un riferimento alla violenta ascesa della Yamaguchigumi nel dopoguerra (la banda è nata a Kōbe, città portuale limitrofa a Ōsaka, ma è fortemente radicata in tutto il Kansai), le dinamiche quotidiane e l’apparato cerimoniale (sakazuki e yubitsume) sono messi in scena secondo i canoni della cinematografia giapponese di genere. (Potrebbe interessarti questo articolo: → Yakuza nel candido mondo di Heidi)
In effetti la vicenda stessa tocca uno dei temi più cari agli sceneggiatori di yakuza eiga:
fedeltà e tradimento, nelle sue varie declinazioni (verso sé stessi, gli altri affiliati, il capobanda e, non ultimo, il codice d’onore) facenti comunque capo all’eterno dilemma tra tradizione e rinnovamento che interessa la yakuza cinematografica e quella in cronaca nera in eguale misura.
*
Nei limiti della narrazione questa tensione è palpabile nel rapporto tra lo yakuza Kiyoshi (Tadanobu Asano) e il disertore Nick Lowell (Jared Leto), dove la fiducia riposta nello straniero (il “Gaijin” del titolo, per l’appunto, termine connotato da una sfumatura negativa) senza legami è reiteratamente criticata, e in quello tra i due boss in lotta, uno inflessibilmente tradizionalista e l’altro pronto a mutare in accordo con il contesto.
Nel solco dei canoni degli yakuza eiga, il biasimo ricade su chi abbandona le consuetudini in nome del successo o, semplicemente, della via meno impervia per sopravvivere dimostrando poco gaman, poco ‘stoicismo’ per parafrasare.
Lo stesso periodo storico nel quale è ambientata la pellicola è un momento di metamorfosi per il mondo della gokudō: il termine dell’Occupazione (1952) e la riconversione del Giappone da nemico conquistato a base di supporto per la guerra in Corea (1951-1953) aveva concesso maggiori libertà e opportunità alla bande, subito pronte a gettarsi a capofitto nel remunerativo spaccio di anfetamine; la reazione della ristrutturata forza di polizia non tardò e fu priva di indugi, ma ormai le organizzazioni criminali potevano contare su importanti aderenze nella politica che limitarono l’efficacia degli interventi.
Questa transizione della yakuza orientata ad abbracciare e a massimizzare le occasioni offerte dal nuovo assetto della società non fu l’unica e nemmeno la prima, ma solo un’altra circostanza nella quale un sistema formalmente rigido nella sua aderenza alle tradizioni, fu nella pratica rapido ad accogliere le novità a esso vantaggiose. Questa elasticità nel far combaciare ideali e prassi non fu sempre indolore, ma la spinta innovativa dimostrata dalle bande yakuza sin dagli esordi, non di rado a dispetto delle loro stesse dichiarazioni, è un innegabile tratto del carattere di questa malavita.
*
Nel complesso il film ripercorre sentieri già battuti in Giappone e, forse con maggiore successo, anche a Hollywood (“American Yakuza” con Viggo Mortensen o “Brother” con Kitano Takeshi), ma mette in scena un periodo storico poco esaminato dalla cinematografia occidentale (forse in ragione delle ombre che getta anche sugli occupanti) e può costituire un primo e agevole passo per inoltrarsi nel complesso mondo del crimine organizzato nipponico.
Giorgio Arduini
CONCLUSIONI
Quanti film di Yakuza hai già visto? Speriamo che questa lista di “film fondamentali” possa aiutarti a coltivare l’interesse per questo argomento, che – spesso e volentieri – viene nascosto dai media. Lascia un commento e facci sapere se aggiungeresti qualche film alla lista!
Se vuoi approfondire e non ti basta guardare i film – Giorgio Arduini – l’autore dell’articolo, che è anche l’autore del libro da noi pubblicato – “Yakuza. Un’altra mafia” analizza le origini, il codice, i simboli, le cerimonie, i tatuaggi legati alla “mafia giapponese”.
La casa editrice Luni nasce nel 1992 con lo scopo di diffondere le idee che animano la riflessione italiana rendendo disponibili e accessibili al pubblico italiano molti testi del mondo Orientale spesso introvabili.
0 commenti