Luigi Barzini nella Cina dei Boxer

 

 

Articolo tratto da: ICOO 2018 (qui il link)

a cura di Isabella Doniselli Eramo

 

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A l suo primo incarico di corrispondente di guerra, nel 1900 Barzini è inviato in Cina per seguire i drammatici avvenimenti e, con una prosa piacevolissima e molto efficace, descrive giorno per giorno l’evolversi degli eventi.

L’impero cinese – si legge nella prefazione di Isabella Doniselli Eramo – vive una profonda crisi politica, economica e sociale che non ha precedenti nella sua storia. Scoppiano rivolte sempre più frequenti, sempre più spesso con connotati xenofobi.

 

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L’avversione popolare verso gli occidentali, percepiti come veri e propri invasori, ha raggiunto il livello di guardia e anche la dinastia regnante finisce per essere accomunata agli stranieri “invasori”; infatti, benché sia sul trono fin dal 1644, è di origine mancese e si dimostra incapace di risolvere la grave crisi dell’impero.

Nei primi mesi del 1900 si delinea la più violenta delle ribellioni popolari, quella dei Boxer, che prendono il nome da una società segreta di ispirazione religiosa (Yihequan, cioè “I pugni della giustizia e della concordia”) i cui adepti praticano la boxe cinese come arte marziale.

 

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La rivolta esplode nel mese di giugno ed è violentissima.

I Boxer, col tacito appoggio dell’imperatrice Cixi (1835-1908), entrano a Pechino e assaltano il quartiere delle legazioni straniere. Uccidono il console tedesco Von Ketteler (1853-1900) e per 55 giorni tengono sotto assedio il quartiere, trucidando oltre 900 persone. La reazione occidentale non è meno sanguinosa.

Un corpo di spedizione internazionale, formato da contingenti militari di Gran Bretagna, Francia, Germania, Austro- Ungheria, Italia, Russia, Stati Uniti e Giappone, raggiunge Pechino e ne prende il controllo con duri combattimenti. 

 

Barzini

Luigi Barzini

 

Barzini è a Hong Kong alla fine di luglio del 1900.

All’inizio di agosto trova un passaggio sull’incrociatore Vittor Pisani della Marina Militare Italiana che sta raggiungendo le altre unità della nostra Marina, già presenti a nord, nel mar Giallo, nella baia di Bohai. Barzini è aggregato a una compagnia di fanteria di marina italiana che si dirige con decisione verso la capitale. 

Il trasferimento è reso molto lento e difficoltoso dalle precarie condizioni di tutta la zona, devastata dall’azione combinata dei Boxer (che tra l’altro hanno fatto saltare la ferrovia) e del passaggio del contingente alleato.

 

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Barzini arriva a Pechino poco dopo la liberazione dall’assedio del quartiere delle Legazioni. Alcuni giorni più tardi anche Pierre Loti (1850-1923), sottotenente della marina francese, percorrerà quello stesso itinerario, descrivendolo nel suo Gli ultimi giorni di Pechino (Luni Editrice, 2015). 

 

Gli ultimi giorni di Pechino

Il libro: → Gli Ultimi giorni di Pechino

 

Fin dalle prime pagine, la narrazione di Barzini sembra procedere di pari passo con quella di Loti, quasi fossero stati compagni di viaggio e rimandano al lettore le stesse identiche immagini ed emozioni.

Entrambi gli autori descrivono il litorale basso e fangoso: terra e mare sono uniformemente di colore giallo-rossastro. 

 

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L’entroterra è piatto, desolato e ugualmente giallo. La pianura verso Tianjin e la stessa città, sono altrettanto desolate. Ovunque morti e macerie. Villaggi distrutti, cadaveri ovunque, campi devastati. Cani randagi e corvi sono gli unici segni di vita.

 

 

Scrive Barzini: 

Tutto l’immenso piano non è che un cimitero. In questa caratteristica sta la fisionomia cinese. La Cina è il cimitero di una civiltà che è morta da mille anni … 

 

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Barzini e Loti condividono anche un sano e giovanile spirito patriottico, alimentato dalla stampa europea fin dallo scoppio dei primi disordini anti occidentali in Cina. Così entrambi gli autori ci danno pagine ricche di pathos, descrivendo i rituali di accoglienza della loro nave da parte delle altre unità di marina già in rada, oppure ricordando la commozione che li ha colti sentendo eseguire il proprio inno nazionale o assistendo all’alzabandiera del proprio Paese.

Condividono anche un iniziale disprezzo nei confronti della Cina e un pregiudizio di inciviltà e di arretratezza verso i cinesi e comunicano un’immagine di europei, americani e giapponesi come “portatori di civiltà”. 

 

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Ma presto nelle pagine di Barzini questa certezza comincia a vacillare e si fa strada qualche dubbio, prima insinuato fra le righe, poi espresso molto esplicitamente.

Di fronte alle incomprensibili violenze e distruzioni di oggetti e di opere d’arte da parte delle truppe internazionali, Barzini si chiede da che parte stia la civiltà. 

 

 

È forse il primo in assoluto a denunciare apertamente, sul Corriere della Sera, in una corrispondenza del 28 agosto, le inutili carneficine commesse dalle truppe occidentali su civili indifesi:

«i barbari siamo noi» scrive.

E aggiunge: 

Perdo la netta percezione di che cosa sia vera civiltà; tutto quanto credevo prima, crolla e si dilegua sotto i colpi di nuove idee che mi tormentano. 

 

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Barzini resta sul campo, per le strade di Pechino, in mezzo alla gente e al seguito delle truppe. Ecco perché per primo ha il polso della situazione, compresi gli eccessi di violenza dei cosiddetti “liberatori”. 

È il primo a rendersi conto che, passati i giorni più terribili e turbolenti, a poco a poco la gente torna timidamente alle sue case devastate, riavvia con tenacia le attività artigianali e commerciali distrutte, torna a popolare le strade e i mercati.

E con sorpresa scopre che non c’è alcun sentimento di astio o di rivalsa contro di lui, straniero. Anzi trova cordialità e rispetto. 

 

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Ciò gli dà modo di conoscere più da vicino la realtà del popolo cinese e sviluppa riflessioni molto interessanti e acute sulle manifestazioni artistiche cinesi, sull’educazione della gente, sullo spirito dell’abitare e soprattutto sull’eterogeneità della realtà cinese, che scopre tutt’altro che omogenea e monolitica come comunemente si pensava. 

 

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Poi descrive piccoli spaccati della vita quotidiana: un tipico mercato e le figure che lo popolano,

un negozio di oggettistica e il tradizionale cerimoniale dell’accoglienza del cliente e della contrattazione, un funerale con tutti i suoi rituali, i festeggiamenti del capodanno, la visita in una casa mandarinale per un banchetto e per una cerimonia in onore degli antenati. Sono pagine di grande vivacità, di notevole valore letterario e di estremo interesse anche per lo studioso di tradizioni cinesi.

 

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Molto interessante da questo punto di vista e ricca di suggestione è la dettagliata descrizione della cerimonia del Solstizio d’Inverno al Tempio del Cielo, da sempre un momento forte della partecipazione dell’Imperatore alla vita del suo popolo. 

 

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Barzini riferisce con particolare partecipazione la drammatica vicenda della cattedrale cattolica di Beitang, dove il vescovo Mons. Alphonse Favier, vicario apostolico di Pechino per due mesi resiste trincerato con i membri della comunità cristiana (circa 3.500 persone) e con la sola protezione di 33 marinai francesi e di 10 fanti di marina italiani, che resistono e combattono (e alcuni perdono la vita), fronteggiando anche la fame e le epidemie.

 

 

La narrazione di Barzini riporta tutti i dettagli appresi dalla viva voce del vescovo, ma nel racconto di Barzini si inserisce un colpo d’ala da grande giornalista di razza, quando riferisce – con notevole spirito critico e con molta ironia – una serie di fatti collaterali, di cui è stato testimone oculare.

Dopo la liberazione del quartiere delle legazioni inizia una non troppo “nobile gara” tra i responsabili dei diversi Paesi, nessuno dei quali pare intenzionato ad assumersi la responsabilità di decidere un invio di truppe in aiuto degli assediati nella Cattedrale di Beitang.

Solo la mattina del 15 agosto, grazie all’insistenza e alla tenacia del Console italiano Salvago Raggi, può finalmente essere deciso un intervento in aiuto dei cristiani di mons. Favier.

 

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Ma la Cattedrale, sempre nel racconto di Barzini, è stata liberata quasi inavvertitamente dal passaggio casuale di una compagnia di giapponesi, la cui apparizione in lontananza è stata sufficiente a mettere in fuga gli ultimi Boxer che ancora l’assediavano. Scrive Barzini: «Questo i francesi lo chiamano la liberazione del Beitang!».

 

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Il vescovo Favier confermerà puntualmente i fatti, arricchiti di molti altri dettagli di “vita vissuta in prima persona”, in una serie di corrispondenze che a sua volta pubblicherà sui primi numeri dell’annata 1901 del periodico Le missioni cattoliche.

Presso la Biblioteca del Centro Pime di Milano (www.pimemilano.com) è attualmente possibile consultare la raccolta completa della rivista dal 1872 al 1969, anno in cui la testata cambia il nome in Mondo e Missione.

Vi si possono trovare molte altre testimonianze di prima mano, scritte dalla Cina dai missionari che hanno vissuto e subito in prima persona i drammatici eventi della rivolta dei Boxer, alcuni dei quali, tra l’altro, Barzini aveva incontrato – appena scampati agli eccidi – durante la sua breve tappa a Hong Kong, raccontandone le disavventure nelle sue prime corrispondenze dalla Cina. 

 

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Nell'estremo Oriente - barzini

Il libro: → Nell’Estremo Oriente

 

 


 

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