«Mahabharata».
Il poema nazionale indiano è una gigantesca opera sperimentale, ricca di potenti folgorazioni mistiche e fonte di luce spirituale, all’incrocio tra narrativa e teatro
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Giuliano Boccali
Articolo tratto da: Il Sole 24 Ore 15 dicembre 2019 (qui il PDF)
– Il Mahabharata
– Il Mahabharata e le sue traduzioni
– Conclusioni
F ra le opere capitali della letteratura d’ogni tempo e paese, il Mahabharata, “Il grande (poema) dei discendenti di Bharata”, vanta pochi o forse nessun eguale.
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Non tanto per le dimensioni, che pure sono imponenti corrispondendo a circa otto volte l’Iliade e l’Odissea messe assieme, quanto per la sua eccezionale natura.
Dentro la vicenda che ne costituisce il filo conduttore, occupando la metà circa del poema, sono infatti intrise altre vicende secondarie mitiche ed epiche, genealogie divine e umane, novelle, ma soprattutto trattazioni teologiche, filosofiche, etiche, geografiche, scientifiche ante litteram e persino frammenti di enigmistica.
Proprio questo assetto ne fa al gusto attuale un capolavoro unico che oggi Luni presenta nella storica, classica antologia in 5 volumi di Michele Kerbaker, Il Mahabharata, a cura di Carlo Formichi e Vittore Pisani. Valutato con criteri e sensibilità contemporanei, il Mahabharata è infatti da definire come un’opera “multigenere”.
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Dal punto di vista strutturale, esso sembra dunque apparentato, più che all’Iliade o all’Eneide, ad alcuni fra i capolavori originali del ’900: con tutto l’azzardo di simili confronti si pensa all’Ulisse di Joyce o a I sonnambuli di Hermann Broch, trilogia ardita che mescola narrativa, saggistica, poesia e perfino teatro. Senza tralasciare alcuni dei capolavori del romanzo anglo-indiano, a partire da Terra rossa e pioggia scrosciante (1995) di Vikram Chandra.
In maniera provocatoria come i confronti proposti poc’anzi, ma non inappropriata, si potrebbe definire l’immenso poema come un’opera sperimentale:
oggi certo lo sarebbe, lo è stato all’epoca sua quando gli autori – verosimilmente un “team” (G. Dumézil) o “committee” (J. Kirste) di brahmani distribuiti su due generazioni – nel periodo fra il 140 a.C. e l’anno zero hanno ideato l’epica dell’India deliberatamente, conferendo al poema la forma che conosciamo in sintonia con lo sviluppo nel subcontinente di una forte dimensione politica imperiale.
Il Mahabharata
Operazione tanto più riuscita se l’India si chiama ancora oggi in lingua originale Bharat, ossia “La (terra) dei discendenti di Bharata”, e l’opera rappresenta il poema nazionale indiano.
La trama epica principale è la lotta per il trono di Hastinapura, capitale situata circa un centinaio di km a nord dell’attuale Delhi, fra schieramenti capeggiati da due gruppi di cugini: i cento fratelli Kaurava e i cinque fratelli Pandava.
In realtà il conflitto è mondiale, poiché con l’una o con l’altra parte si sono alleati tutti i re della terra.
E il testo vanta pagine memorabili sul piano strettamente epico e narrativo, caratterizzate dalle dimensioni dilaganti connaturate alla fantasia indiana; o dall’immersione nelle zone insondabili dell’etica e del trascendente.
Perché dall’intreccio si sviluppa una riflessione sfaccettata sul tema del dharma, la “legge sacra”: è infatti convinzione radicata nella religiosità hindu che un’unica legge, il dharma appunto, governi e orienti il mondo divino, quello umano sociale e quello naturale; il Mahabharata la contiene e dischiude in ogni aspetto fino a quello assoluto della meta spirituale più alta.
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Attraverso la ricca collana di definizioni di se stesso inanellata dal testo, il Mahabharata si autodichiara infatti sorgente di luce spirituale – con al centro la → Bhagavadgita, “Il canto del Signore”, Vangelo di centinaia di milioni di hindu –, fonte di autorità in ogni campo, storia (epica) e documentazione antiquaria di una “nazione” della quale si è da poco generata la coscienza unitaria, collezione di trattati anche di argomento profano – noi diremmo –, cornice di racconti e matrice pure di embrioni teatrali.
Il libro: → Bhagavadgita
Prova della sua vitalità esuberante è che la trasmissione televisiva del poema a puntate (93 episodi, ottobre 1988-luglio 1990) ha calamitato davanti all’apparecchio, ogni domenica, milioni di spettatori indiani.
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A sottolineare la vitalità del Mahabharata vale anche, per l’assoluto spessore internazionale, la rappresentazione teatrale della durata di un giorno o di una notte ideata e realizzata (1985) con la sceneggiatura di Jean-Claude Carrière in anni di lavoro accuratissimo da Peter Brook, poi tradotta nello straordinario film.
Dal cinema d’autore al fumetto: gli infiniti episodi dell’opera sono proposti con grande successo in libretti dalla raffinata veste grafica e letterariamente molto fedeli al grande testo. Questo non vale solo per l’India: con singolare coincidenza, significativa dell’attualità dell’opera, quasi contemporaneamente alla formidabile realizzazione di Luni è uscito in libreria Il Mahabharata.
Il libro: → Mahabharata
Il Mahabharata e le sue traduzioni
Se le prime conoscenze sul Mahabharata in Occidente, molto parziali, datano dalla fine del ‘700, in Italia il poema è stato al centro degli studi e dell’opera traduttiva di uno dei maestri fondatori dell’indologia nazionale, al quale sostanzialmente si deve la sua prima notorietà nel nostro Paese:
• Michele Kerbaker (1835-1914). Professore a Napoli, questi ha dedicato a diversi episodi del poema una serie fitta, iniziata nel 1867, di versioni corredate da ricchi elementi interpretativi, soprattutto sul piano letterario.
Altri studiosi contribuirono in quegli anni all’apprezzamento in Italia del poema, ma il progetto e il lavoro di Kerbaker hanno una dimensione incommensurabile.
Agli inizi del secolo scorso, infatti, Kerbaker concepì un vastissimo disegno organico, quello di un’antologia estesa, lasciata con la morte in uno stato di elaborazione molto progredito.
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L’opera immensa sarà pubblicata postuma in cinque volumi (Roma, 1932-1939) a cura di Carlo Formichi e Vittore Pisani, offrendo al pubblico italiano la raccolta di passi del Mahabharata a tutt’oggi più copiosa nella nostra lingua: con le sue 7424 ottave, ciascuna delle quali comprende due quartine dell’originale, il lavoro di Kerbaker riveduto dai suoi successori presenta infatti oltre un sesto del poema.
E la sua originaria diffusione, certo non agevolata dal periodo prebellico dell’uscita, rende la scelta da parte di Luni di riproporlo oggi un significativo atto di omaggio a una delle opere più importanti e prolifiche nella storia dell’umanità e insieme all’impegno tanto generoso quanto schivo del suo traduttore.
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Una considerazione finale, in qualche modo soggettiva, sulla scrittura: la scelta per la versione dell’ottava ariostesca è naturalmente coerente con il metro usato per l’epica nella grande tradizione italiana e con l’epoca del traduttore.
Letterato elegante, coltissimo e verseggiatore raffinato, Kerbaker si guadagnò con le sue versioni l’apprezzamento precoce di Giosuè Carducci e quello non meno convinto, seppure postumo, di Benedetto Croce. Al lettore contemporaneo le strofe kerbakeriane, molto scorrevoli, offrono con il loro linguaggio dovizioso un aroma inconfondibile; si tenga presente che i versi dell’originale, come in tutta l’epica tradizionale indiana, sono piuttosto disadorni, anche se non mancano di immagini poetiche felici o di lampi di folgorazione potente.
Senza nulla perdere di queste caratteristiche, lo stile di Kerbaker, e della sua stagione, vi aggiunge la grazia orecchiabile, lo stupore incantato, di un’infinita, fantasmagorica fiaba.
Conclusioni
Novelle, teologia, filosofia “Mahabharata” significa «Il grande (poema) dei discendenti di Bharata».
È tra le opere capitali della letteratura di ogni tempo.
Dentro la vicenda epica che ne forma l’ossatura, vi sono narrazioni mitiche secondarie, genealogie divine e umane, novelle, soprattutto trattazioni teologiche, filosofiche, etiche, geografiche, scientifiche e perfino frammenti di enigmistica.
Il nucleo della riflessione è il dharma, la “legge sacra” o l’“ordine sociocosmico”. L’opera al suo centro ha la → Bhagavadgita, “Il canto del Signore”, sorta di Vangelo per milioni di hindu.
L’edizione in 5 volumi, ora pubblicata dall’Editrice Luni, tradotta da Michele Kerbaker (1835-1914), a cura di Carlo Formichi e Vittore Pisani, vide la luce per la Reale Accademia d’Italia tra il 1933 e il 1939.
Giuliano Boccali
Il libro: → Mahabharata
La casa editrice Luni nasce nel 1992 con lo scopo di diffondere le idee che animano la riflessione italiana rendendo disponibili e accessibili al pubblico italiano molti testi del mondo Orientale spesso introvabili.
O la piantate di editare opere magnifiche o aprite alla possibilità di pagamenti rateali. Come resistere alla tentazione di averli subito tutti anche solo per leggere a caso qualche pezzetto?
Gentile Mario, grazie davvero sei molto gentile! Vedrai che con il tempo riuscirai a riempire i tuoi scaffali. I nostri migliori saluti.