Ming – La dinastia dei letterati

 

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Articolo tratto da: Temi-Zen 2022 (qui il link)

a cura di Isabella Doniselli Eramo

 

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P er molto tempo nell’immaginario collettivo occidentale “Ming” è stato sinonimo di Cina, o meglio, di Celeste Impero. E non senza ragione.

Fin dagli ultimi decenni del Cinquecento e per tutta la prima metà del Seicento, colti intellettuali, scienziati e missionari gesuiti come Matteo Ricci, Michele Ruggeri, Martino Martini, Prospero Intorcetta (per citare solo i primi italiani in ordine di tempo. In realtà l’elenco sarebbe molto lungo se si volessero correttamente citare anche i loro confratelli portoghesi e francesi e altri come Adam Schall e Ferdinand Verbiest) con i loro scritti, relazioni, traduzioni, hanno diffuso in Europa un’immagine della Cina realistica, accurata, adeguata ai tempi, che cambiava radicalmente le idee e le convinzioni diffuse fin dal XIII secolo (e ormai radicate a tutti i livelli) da quell’opera conosciutissima, ma sospesa a metà strada tra la relazione di viaggio e il libro delle meraviglie, che era ed è Il Milione di Marco Polo.

 

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Quella narrata dai gesuiti non è più la Cina medievale, favolosa e piena di meraviglie, vivace e cosmopolita, benché occupata dagli invasori mongoli e governata da un “Gran Khan” di origine straniera. È la Cina della sontuosa, potente, prospera dinastia Ming, che nel 1368 è riuscita a estromettere gli invasori mongoli e a rimettere sul trono sovrani in tutto e per tutto cinesi.

La dinastia è iniziata con l’energica azione del fondatore Zhu Yuanzhang (titolo di regno Hongwu, “magnificenza militare”, 1368–1398) volta a esaltare il carattere nazionalistico e la volontà di restaurazione dopo la dominazione mongola, presentando il proprio regno come l’epoca della rinascita cinese e del recupero delle migliori tradizioni nazionali: le istituzioni, l’economia agricola, la religione, l’etica, le arti. In particolare, l’azione del primo imperatore Ming punta al consolidamento dell’organizzazione statale e all’accentramento del potere imperiale.

Questa impronta autoritaria resterà immutata per tutta la dinastia. Su questa solida base economica e politica l’imperatore Yongle (1403-1424) può realizzare il suo progetto di una Cina politicamente influente, economicamente prospera e culturalmente ricca e raffinata.

 

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Edifica nella nuova capitale, Pechino, il palazzo imperiale più imponente e più splendido che la Cina abbia mai avuto, quello che, pur ampliato e modificato nei secoli, possiamo ammirare ancora oggi.

Vi costruisce anche molti altri monumenti e templi sontuosi, fra cui il Tempio del Cielo e il Tempio della Terra. Edifica interi nuovi quartieri, restaura le opere di irrigazione e le dighe, riattiva il Grande Canale Imperiale, la cui efficienza è essenziale per i rifornimenti di Pechino. Attua gran parte della ricostruzione della Grande Muraglia e fa realizzare un’enorme biblioteca nella quale raccogliere e custodire tutti i libri confuciani scritti dall’epoca di Confucio in poi.

 

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Intraprende anche spedizioni navali (affidate all’ammiraglio Zheng He, tra il 1405 e il 1430) e missioni in Asia centrale, nel subcontinente indiano e in Tibet, allo scopo di affermare la potenza dell’impero cinese al di là dei mari e oltre i suoi confini, nonché di aprire nuove vie ai commerci. I successori di Yongle non sanno valutare l’importanza del dominio dei mari e sospendono queste imprese, considerandole inutilmente dispendiose, con la conseguenza che nei mari della Cina nel Cinquecento iniziano ad affacciarsi navi mercantili straniere.

I portoghesi ottengono il permesso di aprire stabilimenti commerciali a Macao, che diventa così la base della penetrazione europea in Cina.

Intanto la dinastia Ming mostra i primi, profondi segni di decadenza. Si chiude in se stessa, in balia della corruzione dei funzionari e delle camarille di corte (in particolare succube dello strapotere degli eunuchi di palazzo), incapace di affrontare le nuove realtà, come l’arrivo degli occidentali o l’insorgere di rivolte di contadini esasperati per l’incompleta attuazione della riforma agraria promessa.

 

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Ciononostante la dinastia Ming rimane una delle più ricche e splendide della storia della Cina, tanto sul piano economico quanto su quello culturale. Lo straordinario fiorire dei commerci porta enormi ricchezze al paese e agisce come fattore trainante anche per altri settori della vita economica. Il commercio di tessuti contribuisce allo sviluppo delle piantagioni di cotone e spinge alla crescita anche l’allevamento del baco da seta e tutta l’industria connessa con la produzione del prezioso tessuto. Contemporaneamente, la crescita esponenziale della domanda alimentare interna, fa sì che vengano introdotte nuove colture tra cui la coltivazione della canna da zucchero.

Anche l’artigianato conosce una particolare fioritura e si afferma la figura dell’artigiano libero, che si dedica a tempo pieno all’attività della sua bottega. Una poderosa incentivazione all’artigianato è sostenuta dall’imperatore Yongle, che, per dare impulso alla nuova capitale, riunisce al proprio servizio a Pechino ben 27.000 artigiani. Nelle città sorgono vere e proprie manifatture: l’industria della porcellana si sviluppa soprattutto nel Jiangxi, l’industria tessile a Shanghai e a Nanchino, la tessitura della seta a Suzhou.

Fioriscono anche la siderurgia, specialmente nello Hebei, e la tintoria. Intanto l’arte della stampa assume un posto di rilievo fra tutte le attività artigiane. Si stampano enormi quantità di libri per un pubblico, quello degli artigiani e dei commercianti arricchiti, sempre più vasto ed esigente. Questo fenomeno accompagna lo sviluppo della letteratura in lingua popolare, che imprime una svolta cruciale all’evoluzione della letteratura cinese, dando vita ad alcuni straordinari capolavori del patrimonio letterario mondiale.

 

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Basti ricordare Il Romanzo dei Tre Regni (Sanguo Yanyi) di Luo Guanzhong (1330-1400 circa) che ricrea vivacemente la complessa storia della lotta politica e militare combattuta dopo la caduta della dinastia Han fra i tre regni di Wei, Shu e Wu (II–III sec. d.C.). L’autore raccoglie una gran mole di storie, saggi, aneddoti, novelle storiche e leggende popolari sui Tre Regni, aggiungendovi le proprie esperienze politiche e di guerra fra le truppe ribelli contadine, conferendo alla narrazione un valore universale (Cfr.: la nuova traduzione integrale in italiano a cura di Vincenzo Cannata, Luni Editrice).

 

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Il libro: → Il romanzo dei Tre regni

 

Esempio insuperato di romanzo allegorico, invece, è Viaggio in Occidente (Xiyou Ji), pubblicato anonimo nel 1590 e attribuito tradizionalmente all’erudito Wu Cheng’en (1504? – 1582?). Il libro è una riflessione su quanto il buddhismo cinese abbia saputo conciliare, fondendo insieme armonicamente, ideali e aspetti del taoismo e del confucianesimo. Rappresenta inoltre un vero e proprio percorso di purificazione dei vari personaggi, che alla fine del viaggio giungono all’illuminazione (unica traduzione integrale in lingua italiana è quella a cura di Serafino Balduzzi, Luni Editrice).

 

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Il libro: → Il Viaggio in Occidente

 

Non mancano romanzi di costume che ritraggono la società borghese del tempo ed è molto vivace anche la produzione di novelle che rappresentano soprattutto vicende umoristiche o storie di apparizioni soprannaturali.

È anche l’epoca della compilazione delle grandi enciclopedie e degli studi geografici, incentivati dalle spedizioni marittime dell’ammiraglio Zheng He. In campo filosofico fioriscono tentativi di conciliare il neoconfucianesimo con il buddhismo e di applicare i principi confuciani a politica, economia e sociologia.

 

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Lo straordinario fervore costruttivo degli imperatori Ming, porta con sé un inedito splendore dell’architettura: tanto negli edifici quanto nei giardini e nel paesaggio, l’attività degli architetti è tesa a esaltare le bellezze naturali e a creare scenari di elegante armonia. Eleganza ed effetti cromatici sorprendenti sono anche le linee guida dell’arte della ceramica, che conosce una fioritura straordinaria, anche in virtù della richiesta commerciale proveniente dall’estero, che stimola una produzione di raffinate porcellane sempre più copiosa e fantasiosa; specialmente apprezzata e raffinata è la tipologia “bianco e blu”, caratterizzata da una decorazione dipinta in blu di ossido cobalto su fondo bianco, prima della stesura della coperta lucida, trasparente e incolore e successivamente cotta in un unico passaggio in fornace a temperatura superiore a 1300°C.

 

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Prodotta nelle manifatture di Jingdezhen (Jiangxi), proprio sotto la dinastia Ming inizia a essere esportata in grandi quantità verso l’Europa fino a diventare una voce importantissima del commercio estero dell’impero.

È la vera “gloria nazionale” cinese, che spopolerà sul mercato europeo, dando origine a fenomeni di sfrenato collezionismo da parte delle case regnanti e aristocratiche di tutta Europa, incentivando la ricerca e la sperimentazione e rivoluzionando l’intero settore ceramico occidentale impegnato a riuscire a riprodurre la pregevole porcellana.

E negli ambienti aristocratici e intellettuali europei, contribuirà ad alimentare il fenomeno culturale del “Mito Cinese” tanto caro agli Illuministi, e sosterrà la diffusione del gusto per le “Chinoiserie” del tempo del rococò.

 

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I primi imperatori Ming hanno potuto attuare con successo il loro ambizioso programma di consolidamento dell’impero e di recupero delle migliori tradizioni cinesi, grazie all’appoggio fattivo e convinto della formidabile classe dei funzionari confuciani. Questi eruditi, dotti, coltissimi letterati, costituiscono una classe compatta di uomini omogeneamente preparati, di sicura fedeltà all’imperatore e al potere centrale, custodi inflessibili delle tradizioni e del rispetto delle regole, depositari della morale e cultori delle arti e delle lettere. Insomma una vera e propria élite culturale e politica. Ed è a questa aristocrazia del sapere che l’imperatore affida il governo e l’amministrazione del suo impero, invece che all’aristocrazia di nascita o di censo come avviene, per contro, nell’Europa coeva.

 

 

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