Conversazione su Dante
Osip È. Mandel’štam scrisse questo saggio nei primi mesi del 1933 in Crimea, dove si era trasferito con la moglie Nadezhda, la quale racconta di un periodo in cui il poeta si dedicò con passione alla letteratura italiana, leggendo Dante, Petrarca, Ariosto, Tasso e imparando l’italiano per potersi immergere meglio nella loro poesia e particolarmente nella Divina Commedia.
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La Conversazione su Dante è fondamentale nel percorso letterario di Mandel’štam.
Lui stesso, mano a mano che la componeva, ne lesse dei brani a molti intellettuali e poeti suoi amici e la inviò per la pubblicazione alle “Edizioni di Stato” sovietiche, che però rifiutarono il libro, come quasi tutte le sue opere, in una persecuzione che si fece sempre più spietata e che lo portò alla morte nel gulag, a soli 47 anni.
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Mandel’štam riconosce in Dante esule, errante, perseguitato politico uno specchio della sua stessa esperienza, un fratello. Ma ancora più intensa è l’affinità con il metodo creativo e con il linguaggio poetico dantesco, che vuole raccontare da una prospettiva completamente nuova e soprattutto “dall’interno”, da poeta. Contro le interpretazioni gelide dei critici letterari, Mandel’štam svela il segreto vivo del linguaggio artistico di Dante, strappandolo all’immagine stereotipata di una grandezza inaccessibile e monumentale, restituendoci invece un uomo, un poeta, un nostro contemporaneo del Medioevo.
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Osip Èmil’evic Mandel’štam nacque nel 1891 a Varsavia da una famiglia ebraica che si trasferì subito dopo a San Pietroburgo. Qui studiò lettere all’università e nel 1913 pubblicò la sua prima raccolta di poesie, Kamen’.
Diventò amico e collaboratore di altri grandi scrittori del tempo, M. Cvetaeva, A. Achmatova, M. Vološin, V. Majakovskij, B. Pasternak. Viaggiò continuamente tra Mosca, l’Ucraina, la Crimea, il Caucaso e nel 1922 sposò Nadezhda J. Chazina. Subì una progressiva emarginazione e censura da parte del potere sovietico, a cui si aggiunsero le enormi difficoltà finanziarie e di salute.
La persecuzione culminò nel 1934 con l’arresto in seguito a una sua poesia duramente critica nei confronti di Stalin e venne confinato per tre anni a Voronezh.
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Nel 1938 fu arrestato di nuovo per “attività controrivoluzionaria” e condannato a cinque anni di deportazione. Nell’ottobre del 1938 venne internato in un gulag vicino a Vladivostok, in Siberia, dove morì poco dopo, il 27 dicembre. La sua memoria fu riabilitata in Unione Sovietica solo nel 1987.
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Le sue opere di poesia e di critica furono censurate e cominciarono a essere pubblicate in Unione Sovietica e in Occidente verso il 1970, grazie soprattutto all’impegno di sua moglie, che aveva salvato una gran parte dei suoi versi imparandoli a memoria per sottrarli alla distruzione.
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