Il Riso degli Amanti
Il Riso degli Amanti è il secondo e ultimo volume dell’opera maggiore dell’afgano Said Bahaudin Majrouh, narratore, filosofo, poeta sufi al di fuori degli schemi, che egli iniziò con Il Viandante di Mezzanotte.
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Il suo Viandante, attraverso l’esperienza e le vie dell’esilio, opera un’implacabile analisi: quella della tirannide, intesa come manipolazione delle menti, coercizione dei corpi, sistematica applicazione del terrore.
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Le metamorfosi del Mostro, del Grande Conquistatore, della Guida Infallibile, del Capo Illimitato in continua evoluzione e trasformazione per adattarsi ad ogni nuova forma di potere e così soggiogarla, rinascono senza fine, e la Storia non lascia sfuggire prede né ombre.
L’Afghanistan, paesaggio interiore dell’esilio, è il centro non detto di questa leggenda vera, in cui la tortura e la morte non possono spuntarla sull’occhio del cuore.
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La figura felice e imperturbabile del Viandante percorre le pagine di questo volume vero e proprio canto di libertà, avendo come spettatori attoniti i lettori, ancora estranei alla disarmante realtà della tirannide; essi sono gli ultimi testimoni del suo canto di dolore e di verità.
Il Riso degli Amanti è, in primo luogo, il racconto dello Sconosciuto, la favola dell’impossibile, il poema di un’esplorazione spirituale che è l’appello a incamminarsi verso un miraggio che è nutrimento per l’anima.
È l’eco di surrealtà e verità delle Mille e una notte che corre in filigrana lungo la narrazione, un sogno il cui splendore, che passa per inaccessibile e bugiardo agli occhi delle persone malvage e banali con la sua bellezza a un tempo smaschera e condanna senza appello l’orrore che l’ordinaria follia degli uomini così volentieri installa al centro della vita.
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La compiuta innocenza di Gulandam e di Delazad, questi amanti assoluti il cui riso sboccia come un fiore nella desolazione della guerra, trionferà sull’orrore dei tempi.
La loro fine tragica è martirio in nome di quella «patria trasparente», lo «splendore dei significati liberi», che traluce, per istanti, come un brivido che trascorra la superficie dell’Oceano del Senso, quasi acqua di Siloe sfiorata dalle ali dell’angelo.
Dalla mezzanotte interminabile dell’esilio – guidato dal chiaro di luna dell’amore folle – il Viandante si incammina verso la pianura dell’alba, e della Libertà. Per reinventarla.
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Said Bahaudin Majrouh (1928- 1988) poeta afgano, riconosciuto come il più grande scrittore del suo paese, può considerarsi, grazie alla sua costante ricerca del vero e della libertà, martire assoluto del suo paese, avendo dimostrato, attraverso la sua opera e la sua tragica fine (fu assassinato in Pakistan, dove viveva in esilio, l’11 febbraio 1988), quale fosse la strada e quale l’impegno da manifestare nei confronti della soverchia tirannide dell’uomo.
Posto al crocevia delle due culture, testimone di un passato che è ancora sempre ricorrente, Said Bahaudin Majrouh fu, finché visse, e ora con la pubblicazione postuma delle sue opere, fulcro e leva dei due mondi, l’Oriente e l’Occidente, avendo deciso di essere il cantore per entrambi di un amore e un senso di libertà che, purtroppo, gli valsero la vita.
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Di Majrouh la Luni Editrice ha già pubblicato → Il Viandante di Mezzanotte.
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