Il Viandante di Mezzanotte
Il Viandante di Mezzanotte è un poema epico, una parabola sulla solitudine e sulla violenza del potere, sul significato profondo del senso di libertà; fu, per diversi aspetti e svariate chiavi di lettura, anche libro profetico, anticipando, attraverso le sue tensioni letterarie, l’invasione russa dell’Afghanistan e l’avvento della dittatura.
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Ma dietro il velo della Storia, l’allegoria cela altri significati.
L’opera appare come un’epica dell’anima, come se le contrade, i deserti, le città che il protagonista attraversa fossero soprattutto gli elementi di un immenso paesaggio interiore, oltre che il ritratto di una patria devastata dal nemico.
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Le figure mitiche che la popolano, il Drago, la Dea Verde della primavera, la Dama Nera della morte, i vecchi saggi, sono gli attori del dramma del potere e insieme i personaggi che lottano per la libertà dell’anima contro la tirannide dell’io.
Così messaggio politico e intenzione morale diventano un tutt’uno.
Majrouh e il suo alter ego senza volto, il profeta errante, il Viandante di Mezzanotte ovvero Majnūn il Folle, ambiscono a conciliare due mondi: il patrimonio filosofico dell’occidente e la tradizione dell’oriente.
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Erede della poesia di Rūmī, di Nezami, di ’Aṭṭār, ispirata dalla più profonda dottrina Ṣūfī, la lingua poetica di Majrouh si
colloca fuori dal tempo e coniuga modernità e passato, ammettendo lucidamente la perdita di tutti i valori ma illuminandosi dell’aspirazione a una libertà, a un amore che trascendono i limiti dell’individuo e della storia.
È, infine, da considerarsi come il manifesto culturale di un mondo che cambia e che tutto travolge, inghiottendo nelle sue immense spire tutto e tutti, poiché il suo fine ultimo è la distruzione e non l’armonia.
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Said Bahaudin Majrouh (1928- 1988) poeta afgano, riconosciuto come il più grande scrittore del suo paese, può considerarsi, grazie alla sua costante ricerca del vero e della libertà, martire assoluto del suo paese, avendo dimostrato, attraverso la sua opera e la sua tragica fine (fu assassinato in Pakistan, dove viveva in esilio, l’11 febbraio 1988), quale fosse la strada e quale l’impegno da manifestare nei confronti della soverchia tirannide dell’uomo.
Posto al crocevia delle due culture, testimone di un passato che è ancora sempre ricorrente, Said Bahaudin Majrouh fu, finché visse, e ora con la pubblicazione postuma delle sue opere, fulcro e leva dei due mondi, l’Oriente e l’Occidente, avendo deciso di essere il cantore per entrambi di un amore e un senso di libertà che, purtroppo, gli valsero la vita.
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Di Majrouh la Luni Editrice ha già pubblicato anche → Il Riso degli Amanti
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