Kata. Forma tecnica e divenire nella cultura giapponese
Letteralmente, la parola giapponese «kata» significa «forma».
*
Quanto vasto sia, per noi occidentali, il dominio di applicazione di questo concetto, lo testimonia il suo irrompere, dalle altezze della metafisica in cui primariamente dai Greci fu descritto, nella vita di tutti i giorni, in cui anche all’uomo della strada è evidente quanto il potere sia in rapporto con l’in-formazione.
*
Tokitsu propone questa sintetica definizione di «kata»: «sequenza composta da gesti formalizzati e codificati, sottesa da uno stato di spirito orientato verso la realizzazione della Via (do)».
*
La nozione orientale tradizionale di «forma», quindi, non è «oggettiva», ma «soggettiva», e coincide sostanzialmente con la nozione di «rito», nella sua accezione etimologica di «azione giusta, gesto appropriato».
La nozione giapponese di «forma» ha perciò sempre posseduto la capacità di fare da cerniera tra essere e divenire, tecnica e spontaneità, stilema e percezione estetica, tradizione e modernizzazione, esteriorità sociale e interiorità «privata» (ammesso che quest’ultimo concetto possa essere utilizzato per una società tradizionale).
*
Percorrendo in lungo e in largo la storia del Giappone e scavando in profondità filoni specifici, come la figura del Maestro di spada Yamaoka Tesshu, la chiusura su se stesso del Giappone tra i primi del ‘600 e il 1854 (data di arrivo della flotta americana del commodoro Perry nella baia di Tokyo), il rapporto tra la temporalità intrinseca del «kata» e la morte (esemplificato attraverso un esame dello Hagakure, il codice segreto dei samurai), le figure degli scrittori Yukio Mishima, Mori Ogai, ecc.,
*
Tokitsu rintraccia l’emergere e lo strutturarsi della nozione di «kata», a un tempo filosofia, tecnica, insegnamento, obiettivo e mezzo, che illumina tutti i percorsi che la cultura tradizionale del popolo giapponese sono legati all’idea della ricerca della perfezione nel quadro di una tensione verso l’autorealizzazione personale.
*
Kenji Tokitsu, nato a Yamaguchi in Giappone nel 1947, all’età di 15 anni inizia la pratica del karate (stile Shito Ryu) per poi passare alla scuola Shotokan.
Conseguita la laurea all’Università Hitotsubashi, nel 1971 si trasferisce a Parigi come assistente del Maestro Taiji Kase. Lo studio delle scienze umane e della sociologia (disciplina nella quale si laurea a Parigi), lo portano dopo molti anni di pratica a muovere le prime critiche alla scuola Shotokan. Ritorna pertanto in Giappone per andare a ritrovare le vere origini del karate del fondatore Gichin Funakoshi.
*
I suoi studi teorici e pratici lo portano ad abbandonare definitivamente lo stile Shotokan e a dedicarsi interamente alla ricerca iniziando a praticare Taiji Quan, Qi Gong e inizia così i suoi viaggi in Cina e Taiwan dove studia Xing Yi Quan e Bagua Quan.
Nel 1983 fonda a Parigi la scuola “Shaolin-mon karate do” nella quale comincia a strutturare un metodo di combattimento a mano nuda che si inserisce nel solco della tradizione, sintesi originale delle arti di combattimento giapponesi e cinesi unite per la ricerca di una efficacia che dura per tutta la vita perché crea salute e benessere.
Dal 2002 la sua pratica si rivolge soprattutto alla presentazione di esercizi pensati per conservare un’efficacia che si prolunga durante tutta la vita e che si accompagna a un benessere attraverso una regolazione sapiente dell’energia. Sintesi di tutte le sue ricerche e del suo personale metodo si trovano oggi nella “Tokitsu-ryu”, da lui fondata.
*
Di Kenji Tokitsu la Luni Editrice ha pubblicato:
*
Recensioni