L’oceano in un guscio d’ostrica
Nella seconda metà del 1800, e precisamente a partire dal 1866, alcuni diplomatici cinesi vengono inviati in Europa in missione ufficiale: nel registrare sul taccuino di viaggio quello che destava la loro attenzione e la loro meraviglia, hanno lasciato una documentazione straordinaria che consente a noi occidentali letture a vari livelli:
c’è materiale per lo storico, per il semiologo, per il sinologo e per il lettore curioso di veder descritto il proprio passato prossimo come in uno specchio, a tratti deformante e a tratti così nitido da offrire nuove prospettive di riflessione.
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I viaggiatori cinesi si soffermano soprattutto sulle differenze: il nostro mondo, i suoi costumi, il suo galateo, le conquiste della tecnica e della scienza si offrono alla loro attenzione come un immenso museo animato da osservare e da capire con strumenti e parole che spesso denunciano il loro imbarazzo:
camere che si muovono da sole, decine di armadi attaccati l’uno all’altro e poggiati su ruote di metallo che scorrono su linee parallele, imbarcazioni a forma di ventre di pesce, tubi che trasmettono le voci e ancora donne seminude e uomini con cappelli a tubo dediti alle più stravaganti forme di approccio.
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Quello di vedere la propria civiltà attraverso gli occhi sgranati di un estraneo è un esercizio salutare per noi, abituati da secoli a essere più soggetto che oggetto di ricerca.
I cinesi si dimostrano alla fine storici minuziosi e intelligenti e noi lettori apprendiamo da loro aspetti della nostra vita quotidiana di allora sui quali i nostri storici avevano sorvolato giudicandoli ininfluenti o scontati.
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L’oceano in un guscio d’ostrica.
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