La Bibbia vista dall’Islam
Questo libro contiene quella che per l’Occidente è la «storia sacra» per eccellenza, per intendersi, gli episodi dell’Antico e Nuovo Testamento; ma guardati da un «altro» punto di vista, il punto di vista della tradizione islamica.
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È stupefacente constatare come le stesse realtà, anche quelle spirituali come in questo caso, possono essere prese in considerazione ed esposte in modo differente a seconda del «luogo» insieme geografico e intellettuale dal quale ci si pone per osservarle.
Emergono in questo testo, sconosciuto al pubblico italiano e non più generalmente reperibile da tempo né in Inghilterra né in Francia, dove apparve per la prima volta in traduzione nel corso dell’Ottocento, particolari della «storia sacra» curiosi, interessanti e insoliti; lo stesso procedimento narrativo, rivestendo i modi della letteratura islamica, ne sposa i toni accattivanti e le atmosfere da Mille e una Notte, mentre l’attenzione è sempre fissa agli aspetti e ai sentimenti comuni della vita: quelli che portano a riflettere sul senso e sul valore delle cose.
Si scopre a ogni modo, al fondo di questa diversità, l’accordo che necessariamente esiste fra tutte le tradizioni, le quali, nonostante i diversi modi di esprimersi, non possono che affermare la Verità unica che è alla loro radice.
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Mirkhond, Muhammad ben Khondashāh ben Mahmūd, storico persiano del periodo timuride, visse a Harāt durante il regno del sultano Husayn Baykāra.
Nacque nel 1433 in una famiglia nobile del Bukhārā. Mirkhond ricevette una compiuta educazione e ben presto il suo interesse si rivolse alla storia; tuttavia egli non produsse nulla prima dell’ottenimento della protezione e del patronato di Mīr ‘Alī Shīr Nawā’ī, che gli assegnò ufficialmente un alloggio personale nel Khānaqāh Ikhlāsiyya, il palazzo da lui fatto erigere e la cui costruzione iniziò nel 1475.
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Mirkhond fu costretto dal cattivo stato di salute a scrivere a letto parte della sua opera, grande affresco di storia universale di cui il presente libro costituisce una porzione. Una grave malattia lo obbligò a ritornare da Balkh a Harāt, dove morì nel 1498.
La sua opera ebbe un successo enorme e si diffuse in tutti i territori turco-iraniani; si conoscono di essa diverse traduzioni in lingua turca.
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