Studi sui «Fedeli d’Amore»
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L’analisi dantesca del Ricolfi, però, si discosta da quella dei suoi predecessori nel momento in cui a questo studioso pare estremistica la tesi secondo la quale le donne cantate dei poeti del Dolce Stil Novo non sarebbero reali, ma allegorie della Sapienza, e il gergo amoroso da loro utilizzato corrisponderebbe esclusivamente al gergo della setta dei Fedeli d’Amore.
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Se inconfutabili, infatti, gli paiono le prospettive aperte dalla nuova interpretazione del Valli, Ricolfi sostiene però che una cosa non esclude l’altra, e che donne reali – entità fisiche dell’iniziazione d’Amore – sono davvero esistite, così come, molte volte, i termini gergali che ricorrono nei versi sono veramente inerenti a un discorso amoroso.
Nella prima parte degli Studi sui «Fedeli d’Amore» («Le “corti d’Amore” in Francia ed i loro riflessi in Italia»), l’autore risale «alla sorgente, tra i castelli feudali di Francia», là dove non giunse neppure la perlustrazione del Valli, documentando la natura delle corti d’Amore provenzali, per poi rivolgere una breve occhiata al di qua delle Alpi, illustrando sotto una nuova luce due singolari figure allegoriche dei Documenti d’Amore di Francesco da Barberino e segnalando alcuni echi e certi riflessi della letteratura franco-provenzale sui «fedeli» d’Italia.
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In più, qui Ricolfi conferma l’ipotesi della milizia settaria, dimostrando che già in Francia i «cavalieri d’Amore» non furono solo celebratori delle beltà muliebri, e additando nello stesso tempo campi di indagine- tuttora aperti per gli studiosi – per una migliore conoscenza delle trasformazioni spirituali e letterarie compiutesi in Italia e in Francia intorno al Duecento.
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