Tratto da: L’Enciclopedia delle Arti Marziali
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V i presentiamo la casta dei mitici guerrieri che hanno contribuito a rendere grande la storia del Giappone medievale. Significato ed evoluzione della “casta” dei guerrieri-servitori. Dalla rettitudine al dominio di se stessi, parliamo dell’evoluzione del concetto del Bushidō e una brevissima storia dei Samurai. Se vuoi saperne di più leggi della casta guerriera leggi l’articolo: → I 9 Samurai più famosi di sempre
Buona lettura!
Samurai, la casta dei guerrieri giapponesi
Samurai: Significato ed etimologia
Samurai: (Giapp.) Guerriero, appartenente alla casta militare (Bushi*), in origine impegnato soprattutto al servizio dei membri della corte imperiale.
In seguito il nome fu dato a tutti i guerrieri professionisti di un certo rango, che rispettavano una determinata etica (Bushido*), e che servivano i grandi signori titolari di feudi (Daimyo*).
→→ Tutti i libri sul mondo Samurai
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Samurai: Storia ed evoluzione dei Samurai
In Giappone il Samurai è stato per secoli il modello delle virtù, in particolare del coraggio, della abnegazione e della fedeltà, che lo ponevano al di sopra della gente comune. Perfettamente preparato e allenato al combattimento, ha svolto un ruolo fondamentale durante tutto il medioevo giapponese, facendo e disfacendo le famiglie dei principi al potere, combattendo contro le fazioni rivali, sfidando la morte su tutti i campi di battaglia. Esso rappresentava l’élite della classe guerriera.
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La parola «Saburai» (da «Saburau»: tenersi a lato, sorvegliare, servire), che si evolse foneticamente in «Samurai», comparve tra il IX e l’XI secolo.
Essa designava un’élite, proveniente dalle migliori famiglie dell’aristocrazia guerriera (Buke). Questa, dopo essere stata eclissata per qualche tempo dal potere imperiale, tornò in primo piano a partire dal XII secolo: s’impadronì allora del potere reale dietro a Minamoto-no-Yoritomo* che prese il titolo di Shogun* nel 1192.
Fu il «periodo dei guerrieri» (Buke-jidai), che terminò nel 1868.
In realtà il periodo si divide in due epoche: prima quattro secoli (1192-1603) ricchi di guerre civili, durante i quali i clan guerrieri si affrontarono per conquistare il potere e che misero il paese a ferro e fuoco (Kamakura-jidai*, Muromachi-jidai*).
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Successivamente l’era Tokugawa (1603-1868), introdotta da Tokugawa Ieyasu* che si dotò infine dei mezzi per uno shogunato stabile, nel corso della quale la casta turbolenta dei Samurai fu obbligata a disciplinarsi. Mantenne comunque un rango di primo piano nella società. Fu tra il 1603 e il 1868 che il Samurai raggiunse la sua caratterizzazione più pura nell’immaginario del popolo. Tuttavia, la pace civile imposta dagli Shogun Tokugawa, che si appoggiavano a una rete di Daimyo* sorvegliati nei loro castelli – fortezze, asfissiò lentamente ma inesorabilmente la casta dei Samurai che perdettero, poco per volta, la loro vera ragion d’essere, poiché tutta la loro esistenza era orientata al combattimento. Il potere centrale lasciò tuttavia loro la possibilità di affinare le proprie differenze e il proprio codice d’onore Bushido*) poiché trovava la cosa utile.
La fedeltà dei Samurai, che doveva essere assoluta, era il mezzo migliore per controllare il Paese. In assenza di questi test regolari, costituiti nei periodi precedenti dalle guerre tra i clan rivali, occorreva così dar loro una nuova ragion d’essere, indirizzare le loro formidabili energie in una direzione non pericolosa per il potere costituito.
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Accanto all’utilizzo delle armi, che si codificherà seguendo regole spesso ancora presenti nelle arti marziali giapponesi di oggi (e che farà evolvere queste da Bugei* in Bu-jutsu*, tecniche militari, in Budo*, via del guerriero), lo Shogunato incoraggerà l’erudizione dei suoi Samurai, che diventeranno anche poeti.
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Da qui l’avvento del Samurai dell’età classica, ancora animato da questa energia e voglia di vincere che ne faceva un essere temibile, ereditata dalle epoche precedenti in cui le guerre incessanti gli avevano insegnato le regole della sopravvivenza, ma che, da allora, si è civilizzato e ha circondato la propria violenza di eleganza.
ll modello del Samurai giapponese si è dunque modificato nel corso della sua storia. Ma è rimasto lo stesso in quella che fu la prima regola della sua esistenza: servire qualcuno contro tutti fino alla morte. Quando non vi erano più legami verso il proprio signore, per esempio quando il clan al quale questi apparteneva era scomparso, disperso dalla guerra, il Samurai diventava Ronin. (letteralmente «uomo dell’onda»). Liberato dalla sua parola e dal suo dovere, portando con sé la sua unica fortuna, le armi, diventava qualcuno che aggiustava i torti o… un bandito delle grandi vie commerciali. Questo personaggio ideale romanzesco a volta insegnava, nel corso delle proprie peregrinazioni, la propria esperienza di guerra nei Dojo (sale d’armi) o fondava lui stesso una nuova scuola di combattimento (Ryu.) in genere di sciabola ( kenjutsti*). Il più famoso e celebre Samurai del Giappone, nonché ronin fu Myamoto Musashi
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Col tempo l’élite dei Samurai dei primi secoli diventa sempre più permeabile, poi sotto gli apporti successivi di categorie sociali che non avevano più niente di aristocratico.
Nel corso dei secoli questa evoluzione andò di pari passo con un rilassamento dei costumi antichi, particolarmente austeri, che avevano fatto la grandezza dei Samurai e mantenuto la purezza della loro antica casta.
L’origine sociale passò in secondo piano, mentre soltanto il coraggio in combattimento e lo spirito di sacrificio per il signore al quale essi erano legati diventarono i criteri di reclutamento dei nuovi Samurai. D’altra parte, nonostante questa forma di democratizzazione, la loro classe continuava a distinguersi da quella dei guerrieri ordinari, vile fanteria ( Ashigaru.), armati in modo molto più leggero, che partecipavano alle guerre come forza di appoggio, e si battevano più per i profitti dei saccheggi che per l’onore.
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Armi e armatura
Che fosse sul piede di guerra o meno, il Samurai aveva diritto a dei segni distintivi. Uno di questi era il privilegio di portare, in città, l’Hakama, una gonna-pantalone che scendeva fino alle caviglie, un altro quello del Daisho*, coppia di sciabole curve infilate nella cintura, come il filo delle lame girato verso l’alto per poter tagliare fin dal momento dell’estrazione (lai-jutsu.). Scopri → Le armature dei Samurai
La Katana* era la sciabola lunga e il Wakizashi la sciabola corta.
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Il cranio del Samurai era rasato sul davanti e in alto, i capelli erano attentamente annodati e acconciati sul dietro; questa specie di chignon (Chon-mage*), veniva tagliato quando ili Samurai si ritirava o diventava Ronin. In tempi di guerra, il Samurai era protetto da un’armatura (Yoroi*, poi Do-maru, più leggera), relativamente leggera se confrontata con i carapaci d’acciaio dei cavalieri occidentali, ma anche più vulnerabile, fatta di placche di ferro laccato, oppure di lamelle di cuoio articolate, che a volte si sovrapponevano, riunite tra di loro da lacci colorati (il colore era il segno distintivo di appartenenza a un clan).
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Sul capo, un elmo in ferro (Kabuto), con visiera e ampio proteggi-nuca, adorno di ali o di corna, oppure dell’effige in bronzo o in cuoio di un animale. A volte una maschera di metallo o di cuoio copriva tutto il volto (Somen) oppure, più in generale, solo la sua parte inferiore (Menpo), sia per proteggerlo, sia per spaventare l’avversario. Era uso truccarsi e profumarsi prima di andare a combattere, per essere sempre pronti a lasciare una bella testa sul campo di battaglia.
I Samurai portavano dei segni distintivi ricamati sui loro abiti (il Jimbaori, giacca senza maniche indossata sopra l’armatura) o su una banderuola (Sashimono) portata su un’asta attaccata sul dorso della corazza.
Le armi (Mon) cosi inalberate permettevano di riconoscere immediatamente la famiglia o il clan al ti apparteneva il guerriero.
Libro: → Bushido – L’anima del Giappone – Inazo Nitobe
Bushido – il codice d’onore dei Samurai
Essere Samurai era soprattutto un’arte di vivere. Certo, l’uomo rimaneva soprattutto un guerriero, e la Storia riporta molti esempi di bassezza, corruzione, fellonia, intrighi e crudeltà gratuite.
Ma quest’impressione è ampiamente mitigata da altre qualità, assai positive, della maggior parte di questi uomini rudi, resistenti alla sofferenza, rassegnati davanti ai colpi della sorte. Più erano coraggiosi, più erano sensibili, con un’emotività a fior di pelle, tuttavia controllata, perché non si doveva mai «perdere la faccia. Il Samurai classico sentiva con tutte le fibre del suo essere l’aspetto patetico delle cose (Mono-no-aware), la forza inevitabile del destino (karma), e provava forte simpatia per i perdenti (Hoganbiiki).
Poteva essere preso da un’ondata di malinconia che lo rendeva irriconoscibile, fragile come una donna. Allora diventava poeta o musicista. Il modello tradizionale del Samurai non aveva nulla a che fare con il volgare mercenario e nemmeno con un essere soprannaturale simile a una roccia: se appariva tale agli altri, è perché egli traeva le sue energie fuori dal comune da una educazione particolare che gli aveva insegnato a valutare bene le sue debolezze.
Indubbiamente, come base, vi era un’educazione spartana che lo condizionava, ma anche un’apertura verso l’arte, la cultura, la religione, una filosofia che tentava di mettere l’uomo in equilibrio con l’universo.
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Da questa identità viene la vera efficacia, tanto sul campo di battaglia quanto in tutte le cose.
Lo Scintoismo (Shinto.), il Confucianesimo (Kung Zi), poi il Buddhismo Zen (Zen-shu* ) influenzarono profondamente questi uomini abituati a vivere accanto alla morte. II fatto di essere immersi negli orrori della guerra e di sfuggire così spesso alla morte faceva loro cercare e apprezzare una vita estremamente raffinata.
Sentendosi a ogni istante spiati dalla morte. in tempo di pace rivaleggiavano tra di loro per lusso ed eleganza. Questi guerrieri intrepidi erano esteti in altri momenti, vivendo l’istante, sia nel combattimento, sia nella vita quotidiana.
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Si tratta di aspetti che appaiono contradditori per la sensibilità occidentale, ma che sono perfettamente intregrati nella civiltà estremo-orientale. Questo amore per la bellezza, questo bisogno di perfezione, si ritrovavano perfino nel loro armamento, finalizzato, comunque, a portare alla vittoria, ma i cui componenti evolsero fino a trasformarsi in vere opere d’arte: si cercava di dare una bellezza anche alla morte. La morte era la vera compagna del Samurai.
Da essa egli non fuggiva mai, perché faceva parte del gioco della vita. Preparandosi tutta la vita a essa, il Samurai le toglieva il suo carattere di sanzione, di rottura.
In qualche modo la addomesticava. Ne era padrone. Essere Samurai significava anche sapere morire.
Tutte le virtù che caratterizzavano la «via del guerriero.» (Bhushi-no-michi) e che davano il loro valore alla «parola del guerriero» (Bushi-no-ichi-gon), tutta quest’arte di vivere e morire «bene», costituivano il Codice d’onore del Samurai, conosciuto sotto il nome di Bushido* (Do: via; Bushi: guerriero), per quanto questo nome non risalga che al XVII secolo.
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Prima si parlava di Shido (via del gentiluomo), Monofu-no-michi (via del guerriero), Masrao-no-michi (via dell’eroe), Kyuba-no-michi (via dell’arco e del cavallo).
A partire dal XVII secolo, per tutti questi concetti fu usato il termine unico di «Bushido», ed essi furono attestati per la prima volta anche in fonti scritte (fino ad allora la trasmissione era stata solo orale). La prima presentazione sistematica di questi concetti risale agli scritti di Yamaga Soko* ma il loro completamento definitivo si ebbe agli inizi del XVIII secolo con la comparsa dello Hagakure*, vera bibbia dello spirito Samurai.
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Le virtù del Bushido
Tra le virtù che hanno dato un senso alla vita di questi guerrieri del Bushido troviamo: Giri (il dovere), Yu (il coraggio), Enryo (il disprezzo della morte), Reigi (la cortesia), Makoto (la sincerità, l’amore della verità), Chugi (la lealtà, la fedeltà assoluta), Shiki (lo spirito di decisione), Ninyo (l’umanità), Bushi-no-nasake (la compassione), Doryo (la magnanimità), Ansha (la generosità).
Queste virtù rimasero a lungo vive nello spirito del nuovo Giappone dopo la Restaurazione imperiale (Meiji-jidai*) e, in parte, nel ricordo dei giapponesi di oggi.
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La fine dei Samurai
Lo status dei Samurai cambiò radicalmente a partire dalla fine dello Shogunato, nel 1868.
Essi perdettero i loro privilegi e la loro ragion d’essere, perché il nuovo Giappone decise di dotarsi di un esercito moderno basato sulla nozione di remunerazione, e non più su quella di fedeltà alla parola data e dell’impegno per tutta la vita. Fu loro proibito di portare le due sciabole (Haitorei*, 1876).
Questo affronto alla Tradizione secolare dello Yamato-kokoro* provocò incomprensioni, risentimenti e aperte rivolte (la più celebre fu la Satsuma-no-ran* con Saigo Takamori*).
Ma ormai il nuovo orientamento della società giapponese era segnato. A partire dal 1878 il termine di Samurai fu sostituito da quelli di Shizoku e di Sotsuzoku. 1500.000 Samurai degli inizi del XVII secolo (su una popolzione di circa 20 millioni di abitanti) erano diventati 2 100 000 Shizoku, su una popolazione di 46 600 000 abitanti.
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Seppuku o Harakiri
Atto di suicidio rituale mediante apertura del ventre, in uso presso i guerrieri con il grado di samurai e che era considerato come la massima espressione di coraggio e di padronanza di sé. Chiamato comunemente harakiri (“tagliare il ventre”), mentre Seppuku ne è la lettura cinese.
Poteva essere un atto volontario od obbligato, ma rimaneva un privilegio, nella misura in cui una condanna ufficiale evitava in tal modo, una morte infamante per il Samurai.
→ La morte volontaria in Giappone
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Sakura
Il fiore di ciliegio è uno dei simboli dello spirito del Giappone tradizionale. Fiore che rappresenta la bellezza e la caducità della vita.
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Musei
Mentre la maggior parte dei musei di storia in Giappone espone almeno alcune spade o armature da samurai, ci sono alcuni musei specializzati che presentano esclusivamente reliquie dei samurai.
Alcuni di questi includono il Museo della spada di Tokyo, che espone una delle più grandi collezioni pubbliche di spade del paese; il Tokugawa Art Museum di Nagoya, che espone armature, spade, utensili da tè, opere d’arte e oggetti per la casa; e i musei Maeda e Honda a Kanazawa, che espongono le reliquie delle due più importanti famiglie di samurai della regione.
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Personaggi rappresentativi e di rilievo: Nitobe Inazō, Yukio Mishima, Kanō Jigorō, Miyamoto Musashi, Yamamoto Tsunetomo, Yamaoka Tesshu
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La casa editrice Luni nasce nel 1992 con lo scopo di diffondere le idee che animano la riflessione italiana rendendo disponibili e accessibili al pubblico italiano molti testi del mondo Orientale spesso introvabili.
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